La Bpco è una malattia che ruba il respiro. E quando i polmoni non ce la fanno più, per respirare scatta la 'dipendenza' da piccole bombole portatili. La loro autonomia è limitata a 3 ore e dall'associazione dei pazienti arriva una proposta: creare nelle città dei 'punti di rifornimento' dove ricaricarsi del gas salvavita
La Bpco (broncopneumopatia cronico ostruttiva), una malattia che ruba il respiro. Lentamente fino al punto di non ritorno. E' la parabola che sperimentano i pazienti con forme severe: quando i polmoni non ce la fanno più, per respirare scatta la 'dipendenza' da piccole bombole portatili (stroller). Sono circa 62 mila in Italia i pazienti in ossigenoterapia, 20 mila in ventilazione assistita.
"Per loro condurre una vita normale è difficile. L'autonomia di queste mini bombole è di circa 3 ore. E se sono fuori casa cominciano i problemi, perché per ricaricarle è necessario attaccare il dispositivo a un'unità madre", una grossa bombola riempita con una riserva di migliaia di litri di ossigeno liquido, spiega oggi a Milano Fausta Franchi, vice presidente dell'Associazione italiana pazienti Bpco onlus, in occasione della presentazione della neonata Alleanza malattie toraco polmonari (Atp) creata per far sì che i medici di famiglia, gli pneumologi e i pazienti facciano squadra contro le malattie respiratorie.
L'appello è: "Se per queste persone l'ossigeno è vita, si dovrebbe fare come con i defibrillatori: creare nelle città dei punti di rifornimento per l'ossigeno. Nelle farmacie o nei centri commerciali. Negli ospedali ci sono ma spesso è difficile per i malati accedervi". In pratica 'distributori' cittadini di ossigeno.
"E' l'unico modo per permettere a queste persone di condurre una vita sociale normale - incalza Franchi - Non vogliamo che si rintanino dentro casa, che smettano di uscire per la paura di restare 'a secco'. C'è chi dosa l'erogazione a livelli più bassi per far durare di più la sua ricarica e potersi permettere un'autonomia più lunga". Se ci fossero totem per rifornire le bombole portatili in punti strategici, "sarebbe tutto più facile".
Franchi invoca una svolta come quella che ha portato diverse città a dotare chiese, teatri, scuole, persino taxi e auto delle forze dell'ordine, di defibrillatori salvacuore. Ma per l'ossigeno il percorso sarebbe più complicato. Per 'sdoganarlo' andrebbero superati alcuni ostacoli non da poco. Prima di tutto, fanno notare gli esperti, "andrebbe modificata la normativa in base alla quale le 'unità madri', queste mega bombole, sono considerate esplosivi. Ecco perché non vengono diffuse". Poi c'è una difficoltà tecnica: gli attacchi degli stroller. "Ogni ditta ha il suo - spiega Franchi - e non è sempre compatibile con gli altri. Andrebbe studiato un 'attacco universale'".