(Adnkronos Salute) - Sono tutte da scrivere le regole per il trattamento dell'ipertensione negli anziani che soffrono di demenza. Secondo due studi presentati a Pistoia, durante il V Congresso nazionale dei Centri diurni Alzheimer, se il paziente è anziano e ha gravi disabilità e deficit cognitivi, essere toppo rigidi nel tenere sotto controllo la pressione alta lo espone a vari rischi: da crolli pressori, con il pericolo di cadute e fratture anche fatali, al peggioramento più rapido della demenza. In particolare, i risultati delle ricerche indicano che molti di questi anziani sono ritenuti ipertesi senza esserlo davvero. Così spesso vengono trattati con i farmaci per la pressione senza che ce ne sia bisogno, con il rischio di compromettere ulteriormente un quadro clinico già complicato.
I due studi sono stati presentati dal geriatra cardiologo dell'università di Firenze Andrea Ungar, responsabile del Centro di riferimento della Regione Toscana, che tra il 2010 e il 1014 - insieme allo psicogeriatra Enrico Mossello - ha indagato il problema dell'ipertensione arteriosa nelle residenze sanitarie assistite delle province di Firenze e di Pistoia, utilizzando per la prima volta su pazienti con deficit cognitivo il bracciale per il monitoraggio pressorio continuo nelle 24 ore.
"Stiamo tornando all'anno zero - spiega Ungar - Le stesse linee guida delle società europee di cardiologia e dell'ipertensione raccomandano cautela nel trattare l'anziano fragile con decadimento cognitivo e auspicano nuovi studi. Di fatto, anche le nostre due ricerche dimostrano gli errori fatti fin qui e quanto poco sappiamo ancora della pressione arteriosa".
I due studi sono stati in parte finanziati dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Il primo si è svolto nella Rsa 'Filippo Turati' di Gavinana (Pistoia), su un campione di 100 pazienti e su un periodo di 3 mesi, evidenziando che le misurazioni cliniche effettuate di routine dal personale delle Rsa mostravano una percentuale altissima (60%) di ipertesi. Un dato che non trova riscontro nelle indagini degli autori della ricerca.
Ungar parla di "un caso di 'ipertensione da camice bianco' collettiva. Per questo motivo, purtroppo, quei pazienti sono stati trattati con antipertensivi". Ma "va considerato - avverte l'esperto - che un anziano fragile, che soffre di Alzheimer, che raramente beve, una volta curato con diuretici o farmaci analoghi va in disidratazione e, alzandosi, è sottoposto a pericolosi cali di pressione, a cadere e fratturarsi. Incidenti che, non a caso, sono la prima causa di ricovero ospedaliero negli anziani con deficit cognitivo".
Il secondo studio, appena concluso, ha coinvolto 172 pazienti degli ambulatori geriatrici dell'Unità valutativa alzheimer (Uva) di Firenze e Pistoia. E' emerso che, contrariamente alle previsioni, i pazienti hanno tollerato il monitoraggio senza particolari problemi. Ma soprattutto, i risultati suggeriscono che il trattamento farmacologico somministrato per normalizzare la pressione nell'arco di un anno accelera il decadimento cognitivo. "Anche queste nuove ricerche - conclude Ungar - confermano la necessità di aggiornare i protocolli. I pazienti fragili non sono come gli altri. Le regole standard per loro non valgono e occorre dunque trattarli con massima cautela. In altre parole: c'è molto da studiare".