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Tumori, a caccia dei segreti dei pazienti 'eccezionali'

PREPARAZIONE CHEMIO  - FOTOGRAMMA
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27 giugno 2018 | 15.11
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Ricevono una terapia anticancro che scatena una risposta eccezionalmente positiva, o negativa. Tanto da lasciare sconcertati gli stessi medici che li hanno in cura. E' proprio nei pazienti che reagiscono in modo inaspettato che potrebbero celarsi i segreti per terapie antitumorali sempre più mirate ed efficaci. "A Verona stiamo abbinando la diagnostica molecolare all'identificazione di sottogruppi di pazienti che rispondono meglio, o peggio, a determinati trattamenti", spiega all'AdnKronos Salute Giampaolo Tortora, ordinario di Oncologia medica all'Università di Verona e direttore dell'Unità operativa complessa di Oncologia all'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona.

"Il fenomeno dei pazienti con risposte inattese ha portato a coniare una definizione, 'exceptional responders', che si può tradurre come 'pazienti con risposte eccezionali alle cure'. Riteniamo che proprio negli exceptional responders possano celarsi chiavi di lettura interessanti per terapie oncologiche sempre più mirate ed efficaci", dice Tortora. Un interesse condiviso a livello internazionale, tanto che il National Cancer Institute (Nci) americano ha avviato qualche mese fa l'Exceptional Responders Initiative, proprio per comprendere le basi molecolari delle risposte eccezionali al trattamento, principalmente attraverso la chemioterapia, nei pazienti oncologici.

I responders eccezionali "sono pazienti che hanno una risposta unica a trattamenti inefficaci per la maggior parte degli altri malati. Per questo progetto sono stati identificati soggetti tra quelli arruolati in studi clinici in fase iniziale, in cui meno del 10% dei pazienti ha risposto ai trattamenti sperimentali", spiegano dal Nci.

A Verona la 'caccia' alle risposte eccezionali è mirata "a vari tipi di tumore, quello del pancreas", per il quale la struttura è un'eccellenza mondiale, "ma anche del tratto digerente e del polmone. Con l'obiettivo - dice Tortora - di coniugare aspetti di diagnostica molecolare con le terapie innovative. A interessarci non sono solo le risposte straordinariamente positive, ma anche i fallimenti inattesi".

"Il fatto è - continua l'esperto - che non abbiamo ancora biomarcatori predittivi rispetto ai nuovi immunoterapici", farmaci eccezionalmente potenti e costosi, che però in alcuni casi non danno le risposte attese dagli oncologi. "I recettori Pd1 e Pdl1 sembrava fossero biomarker promettenti, ma in alcuni casi non hanno funzionato. Mentre un test banalissimo, che misura la massa nei neo-antigeni formati, si è rivelato una 'spia' in grado di predire un funzionamento migliore dell'immunoterapico". Non si tratta di un vero biomarcatore predittivo, "ma talvolta, in mancanza di meglio, ci accontentiamo di versioni più 'grezze', purché funzionino".

Se la ricerca di nuove armi biotech in grado di sconfiggere il cancro punta sempre più sulle nanomolecole e sull'hi-tech, occorre affinarle e personalizzarle. E per farlo nuovi e preziosi indizi possono arrivare proprio da questi pazienti "con risposte eccezionali", conclude Tortora.

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