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'Cold case' a Napoli, ecco il killer di un'antica mummia di bimbo

I resti mummificati di un bimbo sepolto nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli/Gino Fornaciari, Università di PisaGino Fornaciari Università di Pisa
I resti mummificati di un bimbo sepolto nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli/Gino Fornaciari, Università di PisaGino Fornaciari Università di Pisa
05 gennaio 2018 | 19.51
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Un vero 'cold case', con investigatori in camice bianco che hanno inchiodato il killer a distanza di secoli, grazie al test del Dna. Un team di scienziati internazionali ha infatti sequenziato il genoma completo di un antico ceppo del virus dell'epatite B (Hbv), gettando nuova luce su un patogeno complesso e mortale, che oggi uccide quasi un milione di persone ogni anno. I risultati, basati sui dati genomici estratti dai piccoli resti mummificati, hanno permesso di far luce sulla morte di un bambino, sepolto nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli.

Le precedenti analisi scientifiche dei resti del XVI secolo - che non includevano il test del Dna - suggerivano che il bambino fosse stato infettato dal virus del vaiolo. Utilizzando tecniche avanzate di mappatura genetica, i ricercatori suggeriscono ora una soluzione diversa: il bambino è stato effettivamente infettato dall'Hbv. È interessante notare che i bimbi con infezione da epatite B possono sviluppare un'eruzione facciale, nota come sindrome di Gianotti-Crosti. Questa potrebbe essere stata erroneamente identificata come vaiolo e spiegare l'errore fatto nel passato. I risultati sono pubblicati online sulla rivista 'Plos Pathogens'.

"Questi dati sottolineano l'importanza degli approcci molecolari per aiutare a identificare la presenza di patogeni 'chiave' nel passato, permettendoci di limitare meglio l'arco di tempo in cui possono aver infettato gli esseri umani", spiega Hendrik Poinar, genetista evolutivo del McMaster Ancient Dna Center e investigatore principale all'Istituto Michael G. DeGroote per la ricerca sulle malattie infettive. Alla ricerca ha lavorato anche il professor Gino Fornaciari, paleopatologo dell'Università di Pisa.

Usando campioni di tessuto di pelle e ossa, gli scienziati sono stati in grado di estrarre piccoli frammenti di Dna e, quindi, di ricostruire il puzzle di informazioni genetiche necessarie a creare un'immagine molto più completa del microrganismo responsabile della morte del bimbo. Mentre i virus spesso si evolvono molto rapidamente - a volte in pochi giorni - i ricercatori suggeriscono che questo antico ceppo di Hbv sia cambiato poco negli ultimi 450 anni. Il team ha trovato infatti una stretta relazione tra i ceppi antichi e moderni di epatite B: entrambi mancano di quella che è nota come struttura temporale. In altre parole, non vi è alcun tasso misurabile di evoluzione per tutto il periodo di 450 anni che separa il campione prelevato dalla piccola mummia da quelli moderni.

Secondo alcune stime, oltre 350 milioni di persone oggi hanno infezioni croniche da epatite B, mentre circa un terzo della popolazione globale è stata infettata a un certo punto della vita. Ecco perché, secondo i ricercatori, è importante studiare virus antichi. "Più comprendiamo meglio il comportamento delle pandemie e delle epidemie passate, maggiore è la nostra comprensione di come i moderni agenti patogeni potrebbero diffondersi. E queste informazioni alla fine contribuiranno agli sforzi per controllare" questi minuscoli killer, afferma Poinar.

"E' davvero interessante il fatto che il virus non sia cambiato molto in 500 anni", spiega all'Adnkronos Salute Gino Fornaciari, paleopatologo dell'Università di Pisa, che ha iniziato a studiare l'antica mummia negli anni '80 del Novecento. "Si tratta di un bimbo di 2-3 anni, trovato studiando le mummie rinascimentali sepolte nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, tutti personaggi storici di rilievo". "Gli studi condotti in passato - racconta - ci hanno permesso di stabilire che si tratta di un bimbo di una famiglia nobile. Non siamo arrivati al nome, ma pensiamo appartenga alla casa ducale degli Aragona, duchi di Montalto. I test al radiocarbonio ci hanno permesso di datare i resti alla metà del Cinquecento, e anche l'abito corrisponde".

Il bimbo "era probabilmente un oblato, indossava una veste monastica domenicana, ma in seta, molto ricca. I primi studi immunologici, fatti negli anni '80 e '90 del secolo scorso, avevano fatto ipotizzare che il piccolo fosse affetto da vaiolo, aveva infatti delle eruzioni. Ora le nuove indagini genetiche, condotte nel laboratorio canadese, hanno mostrato la presenza di un'infezione da Hbv. Ma per me il vaiolo non è del tutto escluso, anche se la positività molecolare non è stata trovata. Direi che per escludere con certezza il vaiolo, è il caso di aspettare ulteriori studi. Certo, il ritrovamento del virus dell'epatite B è eccezionale, come pure il risultato del confronto fatto con ceppi moderni". Il 'cold case', dunque, potrebbe rivelare ancora delle sorprese.

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