Con il passare degli anni la tiroide rischia di 'rallentare'. L'ipotiroidismo è infatti frequente negli anziani, soprattutto nelle donne, nella forma subclinica. E secondo gli esperti dovrebbe richiedere una valutazione e una gestione diversa rispetto a quella attuata nei più giovani, ma soprattutto 'su misura'. E' quanto emerso dal simposio 'Ipotiroidismo nell'anziano: processo alla terapia sostitutiva', tenutosi nei giorni scorsi a Roma, in occasione del Congresso nazionale Ame (Associazione medici endocrinologi).
In generale le patologie tiroidee sono in costante aumento e, secondo gli ultimi dati disponibili in letteratura, la loro prevalenza globale si aggira intorno al 10-20%, nella popolazione ultrasettantenne. La prevalenza di autoanticorpi diretti contro antigeni tiroidei presenta un andamento simile, coinvolgendo circa il 5-10% della popolazione adulta fino ad arrivare al 30% degli ultraottantenni, con una maggiore prevalenza proprio nel sesso femminile. Fra le cause di ipotiroidismo nell'anziano c'è l'impiego di alcuni farmaci, una pregressa tiroidectomia o terapia radiometabolica e, più raramente, malattie infiltrative della tiroide (linfomi, ecc.) o un deficit centrale di secrezione di tireotropina. Ma a colpire gli anziani, spiegano gli specialisti, spesso è una forma di ipotiroidismo con sintomi vaghi e sfumati, nonostante i valori degli ormoni tiroidei siano alterati.
"Un ipotiroidismo sub-clinico - spiega all'Adnkronos Salute Enrico Papini, direttore Endocrinologia e malattie del metabolismo dell'Ospedale Regina Apostolorum di Albano (Roma) - che si riscontra gradualmente sempre di più via via che si avanza negli anni. Nella maggior parte degli anziani, soprattutto nei grandi anziani, è relativamente frequente trovare livelli di Tsh alterati, seppur di poco rispetto al normale. La cosa più importante - sottolinea - è capire se questo rappresenta un problema oppure no. In alcuni casi infatti può essere legato a un fenomeno di tipo adattativo, quindi bisogna capire se fa parte della fisiopatologia dell'invecchiamento, o se rappresenta l'espressione di una malattia". Come fare? "Occorre guardare alcuni sintomi specifici, correlabili a ipotiroidismo. Vedere se la tiroide appare normale o ci sono indizi" che qualcosa non funziona. Infine, le cose cambiano in base a "quanto elevato è il Tsh: se si tratta di un innalzamento robusto, è molto probabile che ci sia un'alterazione" che va corretta.
Secondo Papini occorre una valutazione caso per caso. "Se si tratta - spiega ancora - di un'alterazione lieve in una persona di 90 anni che per il resto è in buona salute, allora non facciamo assolutamente nulla; caso diverso se si tratta di un anziano che lamenta sintomi che possono essere imputati a una riduzione della funzione tiroidea. Se l'alterazione del Tsh è confermata a un controllo successivo, allora è opportuno un tentativo terapeutico per vedere - aggiunge Papini - se riusciamo ad ottenere un miglioramente di questi sintomi". Un approccio condiviso da Roberto Negro, endocrinologo dell'ospedale Fazzi di Lecce. "L'ipotiroidismo è un disturbo di funzione molto frequente nell'anziano, ma questo paziente rispetto al giovane adulto - ricorda Negro - ha pochi sintomi, spesso aspecifici. L'unico modo per accertarsi della funzione tiroidea è fare" dettagliati "esami del sangue".
Ma come riportare nella norma questa funzione? "Nel paziente anziano, a meno che i valori siano scadenti, va utilizzata una strategia particolare: no all'urgenza o alla fretta. Occorre monitorare la situazione e, se serve, iniziare la terapia con levotiroxina partendo con dosaggi molto bassi. Negli ultimi anni oltre alla classica compressa, sono arrivate le capsule molli e la formulazione liquida, un vantaggio ad esempio per i pazienti con problemi di deglutizione. Inoltre, l'anziano è un tipo di paziente che presenta spesso più patologie e prende molti farmaci che possono interferire con la levotiroxina in compressa. La forma liquida - ricorda Negro - riduce i rischi di interazioni e può costituire un vantaggio".
La levotiroxina negli anziani "va usata tutte le volte in cui c'è un'alterazione molto significativa", gli fa eco Rinaldo Guglielmi, past president Ame. Come scegliere la formulazione migliore? "Sulla base del gradimento del paziente e di alcune condizioni particolari - spiega l'esperto - Se ad esempio il paziente ha avuto ischemie cerebrali e ha un conseguente disturbo della deglutizione, è probabile che l'assunzione della forma liquida sia più semplice rispetto alle tradizionali compresse. Nel caso si assumano anche farmaci per gastropatie, ulcera o supplementazioni di ferro e calcio - ricorda - ci può essere un'interazione e un'interferenza con l'assorbimento della levotiroxina. Anche in questi casi la forma liquida permette di ridurre l'interferenza di queste terapie". Secondo l'endocrinologo, "il paziente anziano va valutato caso per caso. Tenendo conto delle patologie coesistenti". Solo in questo modo si potrà esser certi di aver adottato la strategia più corretta.