Crescono con un compagno di vita invisibile, un compagno scomodo: si chiama diabete di tipo 1. E nel Terzo millennio, da nativi digitali, più di chiunque altro potrebbero beneficiare della tecnologia intelligente oggi a disposizione per una gestione hi-tech della malattia. Il presente offre ai giovani pazienti algoritmi sempre più precisi, sensori sofisticati e tecnologia di dimensioni mini che può garantire discrezione e libertà di movimento maggiori che in passato, sognando il traguardo - "sempre più vicino", garantiscono gli esperti - del pancreas artificiale.
Ma tutto questo da solo non basta, spiegano i medici. "I regali del progresso bisogna imparare a usarli". E se lo si fa tutti insieme, magari in un campo estivo, è più accettabile. Il primo mese in cui si prende confidenza con la 'macchina' è cruciale e la fiducia è un sentimento che va costruito. Alla rivoluzione delle macchine, riflettono gli specialisti, deve seguirne un'altra che ha a che fare con gli esseri umani. Un board di diabetologi pediatri italiani, che hanno vissuto in prima linea con i ragazzi l'avvento dei sistemi integrati che combinano insieme microinfusore e monitoraggio in continuo della glicemia (e sono in grado di interrompere l'erogazione di insulina in tempo utile per prevenire le ipoglicemie), ha deciso di mettere insieme le migliori pratiche raccolte dall'esperienza sul campo.
Il documento di consenso per l'impiego del sensore glicemico nel sistema integrato è stato pubblicato sulla rivista internazionale 'Pediatric Diabetes'. Queste raccomandazioni nella versione italiana saranno presentate per la prima volta alla comunità scientifica domani in occasione del XXI Congresso nazionale della Siedp (Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica) a Padova, annuncia uno degli estensori del documento, Andrea Scaramuzza, responsabile della Diabetologia pediatrica nell'Asst di Cremona, oggi durante un incontro promosso a Milano da Medtronic.
"Fino a poco tempo fa l'utilizzo di questi dispositivi, e in particolare dei sistemi di monitoraggio in continuo del glucosio - ricorda lo specialista - secondo le stime più ottimistiche non interessava più del 30% dei ragazzi tra i 13 e i 18 anni. Le principali resistenze sono dovute alla necessità di indossarli costantemente, cosa che li fa vivere come 'protesi'. A imprimere una svolta per quello che ci raccontano i pazienti che scelgono di usarli è l'accuratezza dei sensori. Fatto che, insieme alla formazione alla motivazione, ha un peso".
In Italia sono già presenti sistemi integrati che con un monitoraggio in continuo e un algoritmo di controllo consentono di sospendere automaticamente e preventivamente l'insulina prima di arrivare all'ipoglicemia, lo 'spauracchio' che fa tremare chi convive col diabete. Il punto di partenza degli esperti - specialisti di 8 centri diabetologici pediatrici di tutta Italia - per mettere insieme le raccomandazioni è stata l'esperienza in real life negli adolescenti: "Un recente studio pubblicato su 'Acta Diabetologica' ha interessato 38 teenager che utilizzavano il sistema integrato semi-automatico MiniMed 640G e che durante un campo estivo hanno seguito un percorso educativo e motivazionale - racconta Scaramuzza - I ragazzi sono stati monitorati per un anno per valutare i miglioramenti clinici e nella qualità di vita. Dopo 6 mesi dalla fine del campo, 25 su 38 stavano ancora usando il sensore per il 70-100% del tempo registrando per il 74% del tempo valori glicemici all'interno del target raccomandato tra 70 e 160 mg/dl".
Da questi risultati osservati nasce la volontà di creare un approccio standardizzato alla fase educativa. "Il documento vuole essere un riassunto della buona pratica clinica per l'uso del sistema integrato con un utilizzo del sensore per il 100% del tempo. Altro punto fondamentale, abbiamo sperimentato, è il coinvolgimento e la reazione positiva dei ragazzi all'inizio di questo percorso", evidenzia il diabetologo.
Tre le fasi individuate dagli specialisti: un momento preparatorio fatto di incontri con i pazienti, meglio se in piccoli gruppi della stessa fascia d'età, e le loro famiglie. Obiettivo: motivarli e spiegare le funzionalità di tutte le componenti del sistema. C'è poi il secondo step: il primo mese di utilizzo, in cui la formazione e l'approdo a una gestione autonoma del dispositivo sono i momenti principali, e il follow up, fase in cui "la motivazione va rinforzata e sostenuta, prevedendo anche momenti di riflessione periodici".
In Italia si stima siano 250-300 mila le persone con diabete di tipo 1, forma che viene diagnosticata di norma prima dei 20 anni, con circa 25 mila nuovi casi ogni anno. Circa 20 mila i bambini e i ragazzi con diabete, che hanno davanti una convivenza di decenni con la malattia. Una malattia, osserva Scaramuzza, "impegnativa, che richiede tanta pazienza. I ragazzi devono fare attenzione a quello che fanno, a quello che mangiano. Ma l'ostacolo maggiore è la paura della comparsa di una ipoglicemia, evento che li obbliga a fermarsi e li fa sentire, soprattutto in età pediatrica, discriminati".
Lo scopo "è fare sempre meglio. In uno studio su una popolazione di pazienti italiani dagli 8 ai 25 anni - riferisce l'esperto - si è osservato che il 40% di loro raggiunge l'obiettivo terapeutico. Ma si deve pensare a quel 60% che ancora non arriva alla meta. E, in generale, mettere in campo tutto il possibile per migliorare la qualità di vita dei ragazzi e delle loro famiglie. Il sogno di tutti noi è che arrivi un pancreas artificiale inteso come uno o più strumenti che dialogano fra loro e siano in grado senza l'intervento dell'uomo di gestire la glicemia. Oggi non è ancora possibile. Ma l'utilizzo in maniera corretta del sistema integrato già disponibile dà delle performance molto simili a quelle ottenute con gli attuali modelli di pancreas artificiale secondo le esperienze pubblicate di recente in letteratura. E sono convinto che si arriverà un giorno a una macchina come quella immaginata nei nostri sogni".