In Italia, ancora oggi, meno di otto sieropositivi su dieci sono sottoposti al trattamento necessario. Curare più persone e in maniera migliore, tenendo conto della natura cronica dell'infezione e dell'età sempre più alta dei pazienti, è l'intento del regime di mantenimento per l’infezione da virus Hiv-1 basato su due soli farmaci, dolutegravir (Tivicay, ViiV Healthcare) e rilpivirina (Edurant, Janssen Sciences Ireland UC), anziché il classico trattamento basato su tre farmaci. L'azienda farmaceutica ViiV Healthcare ha annunciato di aver sottoposto, all’European Medicines Agency (Ema) e alla Food and Drug Administration (Fda) statunitense, la richiesta di registrazione.
Fino ad oggi, il regime terapeutico classico era basato sull'assunzione di tre molecole: "Dolutegravir è stato l’unico farmaco, dopo il 2008, ad essere riconosciuto come innovativo da Aifa fra le terapie dell’infezione da virus HIV, e rappresenta un caposaldo nel regime terapeutico - sottolinea Maurizio Amato, amministratore delegato di ViiV Healthcare Italia - Siamo l’unica azienda totalmente dedicata all’HIV e questo ci permette di essere al fianco dei ricercatori e delle persone affette da Hiv attraverso approcci terapeutici innovativi, in grado di offrire risposte anche nei casi più complessi. Con il regime basato su Dolutegravir abbiamo posto una pietra miliare nel trattamento dell’infezione da Hiv, cui ne seguiranno altre".
L’obiettivo del nuovo regime è quello di ridurre ancora i rischi di resistenze, migliorare l’aderenza alle terapie e facilitarne l’assunzione, per continuare a combattere una malattia tutt'altro che debellata. Non solo. Nel nostro Paese, inoltre, sempre più i sieropositivi hanno un’età avanzata, sia per quanto riguarda il momento della diagnosi, che l'età media dei sieropositivi. Nel 2010 l’età media era di poco inferiore ai 44 anni, ma già nel 2030 il dato si alzerà fino al raggiungimento di 56,6 anni, con i pazienti 'over 50' che passeranno dal 28% al 73%.
In termini terapeutici - hanno sottolineato gli esperti in un incontro oggi all'università di Siena - questo si traduce in molteplici problemi, spesso diversi fra loro, che vanno considerati anche per minimizzare il rischio che il virus diventi resistente ai farmaci. Non solo. Invecchiare con l’infezione si traduce in un maggior rischio di sviluppare non solo tumori, ma anche problemi neurologici, renali e cardiologici.
Anche le differenze di genere vanno considerate, visto che la donna presenta caratteristiche specifiche rispetto all’uomo e necessita di terapie 'friendly', che abbiano un impatto limitato su vari organi e apparati e consentano di evitare interazioni con i farmaci impiegati per la cura di altre patologie, come quelle dismetaboliche, particolarmente frequenti dopo la menopausa. Una nuova terapia, basata sull'assunzione di due farmaci e non più tre come in precedenza - ribadiscono gli specialisti - limiterebbe molte delle controindicazioni possibili e contribuirebbe a migliorare la qualità della vita di molti malati di Hiv. A patto che si mantenga efficace il controllo della replicazione virale e che venga assicurato l’obiettivo "viremia zero".
"L'approccio terapeutico e la semplificazione della terapia devono partire da un'attenta valutazione del paziente e delle caratteristiche virologiche - spiega Carlo Federico Perno, ordinario di Virologia all’Università di Roma Tor Vergata - Un possibile cambio di paradigma, nell'approccio alle cure per l'Hiv, è adesso possibile. In passato avevamo, come dogma, l'attacco al virus con tre farmaci. Adesso sappiamo che se un farmaco ha un doppio meccanismo di attacco, può garantire la stessa efficacia di una terapia tripla e migliorare le condizioni dei pazienti che ne possono fare uso". Per l'esperto, "la ricerca continua e speriamo di arrivare alla cura. Il virus però è subdolo, difficile da debellare, per adesso quindi dobbiamo pensare a semplificare le terapie, rimanendo consapevoli che, in molti pazienti, dovranno essere somministrate per tutta la vita. Ogni persona, quindi, ha esigenze, personalità, condizioni psicologiche, vita professionale e sentimentale particolari, e come tale dovrebbe essere trattata".
L’Aids, in qualche caso, può diventare addirittura una malattia 'rara', con necessità di cura che ancora non trovano risposta. Accade con i cosiddetti politrattati Hte (cioè circa il 5% dei pazienti trattati, con resistenza ad almeno tre classi di farmaci, e un 3% con ulteriore resistenza agli inibitori dell’integrasi), che non rispondono a diverse linee terapeutiche e vedono progressivamente fallire diversi tentativi di trattamento, risultando resistenti a più classi di farmaci.
Nel corso del Congresso Icar, che si è tenuto all'aspedale Le Scotte di Siena, sono stati presentati i risultati di due studi osservazionali: la coorte Scolta e la coorte Master. Nel primo caso, lo studio multicentrico italiano ha valutato i cambiamenti del profilo lipidico (e quindi del rischio cardiovascolare) nel passaggio da un trattamento basato su inibitori delle proteasi (90 persone) o Nnrti (104) a una terapia con Dolutegravir in associazione fissa con Abacavir e Lamivudina: 194 le persone coinvolte, seguite mediamente per 10 mesi, già pretrattate e con viremia non rilevabile. Il trattamento, con l’associazione basata su dolutegravir, ha permesso di migliorare il profilo lipidico e di ridurre significativamente il valore dei trigliceridi nel sangue, in particolare nella popolazione che ha iniziato il nuovo trattamento, partendo da un regime basato su inibitori della proteasi.
La coorte Master, invece, ha considerato pazienti passati da un trattamento con tre farmaci ad uno con due soli farmaci (uno dei quali era dolutegravir) reclutati dal 2009 a fine 2015. Nei 214 soggetti inseriti nell’analisi, sono stati controllati i mutamenti immunologici, la risposta al virus e i parametri di laboratorio, considerando anche le differenze tra soggetti positivi e negativi per il virus dell’epatite B. I principali motivi di passaggio al regime con due soli farmaci, rispetto alla triplice terapia, sono stati la tossicità (42.8%), la necessità di semplificare il trattamento (31.8%), il desiderio dello stesso paziente (5.5%). Nei controlli a 6 mesi il passaggio alla terapia con due farmaci ha consentito di mantenere il controllo del virus, dimostrandosi anche sicuro e con bassissimi tassi di abbandono della nuova terapia.
"Per il futuro prossimo è facile preconizzare che, a fianco di terapie classicamente basate su tre farmaci, possa prendere piede un approccio 'semplificato' in tutti quei pazienti che possono permettersi una riduzione della pressione farmacologica, utilizzando terapie che continuino a garantire un efficace controllo del virus", conclude Perno.
E' "una nuova opportunità che, adeguatamente declinata, può dare risposte complete alle persone affette da Hiv, con la possibilità di essere efficaci e più tollerabili per l'organismo - afferma Simone Marcotullio, dell'Associazione Nadir - La comunicazione è importantissima, sta però diventando intermittente e abbiamo bisogno di campagne continue su popolazioni chiave, più a rischio d'infezione. La speranza di sconfiggere la malattia c'è, è l'ultima a morire".