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3 detenuti su 4 con disturbi mente, al via progetto ad hoc

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05 ottobre 2016 | 13.02
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Un amplificatore dei disturbi mentali. Il carcere può alimentare una sorta di circolo vizioso della sofferenza psichica: l'isolamento e la mancanza di contatto con l’esterno, insieme allo shock della detenzione, possono facilitare la comparsa o l’aggravarsi di un disagio psichico che può essere già diagnosticato o ancora latente. I numeri sono allarmanti: più di 42 mila detenuti italiani - il 77% degli oltre 54 mila totali - convivono con un disturbo mentale: dai disturbi della personalità alla depressione, fino alla psicosi. Disagi che possono portare a conseguenze estreme come l’autolesionismo (circa 7 mila episodi in un anno) o il suicidio (43 casi e oltre 900 tentativi solo nel 2014).

Mettere un freno al circolo vizioso della sofferenza psichica e introdurre un nuovo approccio integrato nella gestione dei disturbi mentali in carcere, sviluppando un percorso applicabile in tutti gli istituti penitenziari italiani, sono gli obiettivi principali del progetto 'Insieme - La Salute mentale in carcere': l’iniziativa è promossa dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, dalla Società italiana di psichiatria e dalla Società italiana di psichiatria delle dipendenze con il supporto incondizionato di Otsuka.

In occasione della Giornata mondiale della salute mentale, che si celebra in tutto il mondo lunedì 10 ottobre, gli esperti lanciano l’allarme sulla gestione dei disturbi mentali nelle carceri italiane e indicano la strada per permettere ai detenuti di avere le stesse opportunità di cura e di assistenza di cui godono i pazienti al di fuori dei penitenziari. Il progetto Insieme individua così un nuovo Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta), si propone di integrare le diverse figure professionali che lavorano all’interno delle prigioni e di assicurare una continuità terapeutica-assistenziale anche dopo la scarcerazione.

Dalla depressione alla psicosi, passando per i disturbi della personalità. Il panorama delle malattie mentali nelle carceri italiane è molto variegato, con una prevalenza nettamente più alta rispetto a quella che si registra nella popolazione generale. Se fuori dal carcere, ad esempio, i disturbi psicotici si riscontrano nell’1% delle persone, dietro le sbarre la percentuale sale al 4%. Più alti sono anche i numeri della depressione: nei detenuti la prevalenza si attesta intorno al 10% contro il 2-4% della popolazione generale. Inoltre più della metà dei reclusi, il 65%, convive con un disturbo della personalità, una percentuale dalle 6 alle 13 volte superiore rispetto a quella che si riscontra normalmente (5-10%). Al disagio mentale, infine, si sommano spesso i disturbi da sostanze stupefacenti, che tra i detenuti hanno una frequenza 12 volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale (48% contro 4%).

L'isolamento e la mancanza di contatti verso l’esterno possono favorire la comparsa o l’aggravarsi delle malattie mentali. "La perdita improvvisa di libertà e lo shock derivante dalla detenzione - commenta Luciano Lucanìa, presidente della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria - sono tutti traumi che incidono sulla psiche dei detenuti, che non sempre hanno la forza interiore di reagire. Da non sottovalutare poi l’impossibilità di comunicare con l’esterno: si passa da un 'fuori' che oggi è caratterizzato da comunicazione immediata e social, a un 'dentro' il carcere, dove la persona si trova improvvisamente tagliata fuori dal mondo, senza possibilità di parlare con amici e parenti, senza cellulare o internet. Così i suoi contatti sono limitati ai colloqui con il proprio avvocato, con la famiglia e a qualche programma televisivo. Si tratta di esperienze che a livello psichico possono lasciare segni molto forti, trasformando il carcere in luogo dove possono nascere ed esplodere problematiche di tipo psichiatrico".

"Un armamentario terapeutico spesso obsoleto, carenza di percorsi di assistenza e di riabilitazione, collegamenti non adeguati con il territorio, che non facilitano il reinserimento dopo la reclusione: oggi sono forse questi - afferma Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria - gli ostacoli più ingombranti nella gestione dei disturbi mentali in carcere. Problematiche che derivano da diversi fattori, come ad esempio la scarsa integrazione delle figure professionali e la mancanza di dati epidemiologici precisi relativi al disagio mentale tra i detenuti. È quindi cruciale dare vita a una nuova visione della psichiatria penitenziaria ed è proprio questo l’obiettivo che si pone l’iniziativa 'Insieme - Salute mentale in carcere'".

Si tratta di un progetto multidisciplinare che, puntando sull’integrazione delle diverse figure professionali che lavorano all’interno delle prigioni, propone schemi e algoritmi unitari per la gestione del detenuto psichiatrico sia durante la detenzione, sia al momento del suo rilascio. Assicura così una continuità terapeutica-assistenziale anche dopo la scarcerazione. L’iniziativa prevede, inoltre, l’organizzazione di corsi di formazione in alcuni istituti penitenziari italiani, destinati a chi opera nel carcere, ma anche agli operatori sanitari che lavorano sul territorio. Dopo le tappe nel carcere di Civitavecchia (26 settembre) e di Milano Opera (4 ottobre), si arriverà a Monza (il 12 dicembre), Genova e Rossano Calabro (nel 2017).

"Il progetto punta anche a sensibilizzare gli italiani sul tema delle problematiche della salute mentale in carcere - commenta Massimo Clerici, presidente della Società italiana di psichiatria delle dipendenze - persiste ancora infatti uno spiacevole luogo comune che vede i detenuti come persone che, in quanto colpevoli, non sono meritevoli di cure. È invece fondamentale garantire loro una diagnosi precisa e un trattamento adeguato e integrato grazie a un nuovo Pdta. Il progetto Insieme punta sulla formazione, non limitandola solo agli operatori penitenziari, ma estendendola a tutti i soggetti coinvolti nel circuito assistenziale, nell’ottica di una piena integrazione carcere-territorio. In questo senso, pensiamo che gli incontri formativi dentro alcune carceri italiane possano essere di aiuto nel migliorare la gestione delle malattie mentali".

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