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La nuova sfida contro il cancro: armare le staminali della memoria immunologica

(Infophoto)
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10 dicembre 2015 | 15.24
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Selezionare 'soldati scelti' del sistema immunitario e modificarli geneticamente, così da trasformarli in un 'esercito armato' costruito in laboratorio e in grado di riconoscere e uccidere selettivamente le cellule tumorali. Massima efficacia, minima tossicità. E' questa la prospettiva che si apre grazie a uno studio 'made in Milano' presentato al Congresso 2015 della Società americana di ematologia (Ash) di Orlando in Florida, condotto dagli scienziati dell'ospedale San Raffaele su un gruppo di pazienti che avevano ricevuto una terapia genica sperimentale targata MolMed, l'azienda biotech nata da uno spin-off dell'Irccs di via Olgettina. Chiara Bonini, vicedirettore della Divisione di immunologia, trapianti e malattie infettive dell'Istituto, spiega all'AdnKronos Salute il senso del nuovo lavoro e le sfide all'orizzonte: "Ricerche potenzialmente rivoluzionarie, ma che necessitano di fondi per diventare terapie concrete".

La ricerca portata all'Ash e pubblicata su 'Science Translational Medicine', primo autore Giacomo Oliveira, ha coinvolto 10 pazienti colpiti da leucemia acuta, già sottoposti a trapianto di midollo osseo da donatore familiare parzialmente compatibile e trattati con linfociti T modificati attraverso il 'gene suicida' TK sviluppato da MolMed: una tecnologia giunta in fase clinica III e riconosciuta quale 'farmaco orfano' dalle autorità regolatorie Usa e Ue, che ha l'obiettivo di mantenere a lungo nel tempo gli effetti terapeutici del trapianto, potendo anche controllare e neutralizzare eventuali infezioni e complicanze. Per esempio la reazione delle cellule donate contro l'organismo che le ha ricevute.

Le équipe di Bonini e del direttore dell'Unità di ematologia Fabio Ciceri, entrambi del San Raffaele e dell'università Vita-Salute, si sono concentrate su pazienti trattati a partire del 2000. "Per prima cosa abbiamo verificato che i loro parametri immunologici, a distanza di anni da trapianto e terapia genica, fossero uguali a quelli di persone sane e di pari età - riferisce Oliveira - Il passo successivo è stato identificare quali cellule del sistema immunitario resistono nel tempo", cioè "quali potranno essere 'armate' in futuro per combattere più efficacemente le leucemie". E' così emerso che le cellule giuste da trasformare in bombe anticancro sono le cosiddette 'staminali della memoria' immunologica.

Nello studio, finanziato da Ue, Miur, Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) e Ail (Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma), "siamo partiti avvantaggiati - sottolinea Bonini - perché i linfociti infusi erano stati modificati tramite la terapia genica e per questo", grazie a specifici marcatori molecolari, "era possibile rintracciarli nei pazienti a distanza di tempo. Ci siamo chiesti quale, tra tutti i sottotipi di linfociti T che erano stati infusi 2-14 anni prima, fosse capace di persistere a lungo termine e abbiamo notato che le cellule più capaci di espandersi e mantenersi sono le 'memory stem T cells'. Da anni stiamo studiando il loro ruolo nella memoria immunologica e in questo lavoro abbiamo verificato il loro effettivo contributo in pazienti con leucemia".

"Le risposte cliniche che si sono ottenute con linfociti geneticamente modificati - commenta Ciceri - aprono un nuovo scenario per i nostri malati, grazie al profilo di efficacia nella ricostituzione immunologica e nel controllo della malattia da trapianto verso l'ospite in pazienti trapiantati da donatore familiare parzialmente compatibile".

Ma soprattutto, la scoperta ha importanti conseguenze per lo sviluppo dell'immunoterapia dei tumori. "Oggi - ricorda infatti Bonini - è possibile armare geneticamente i linfociti T in modo che riconoscano ed eliminino le cellule tumorali residue con precisione ed efficacia". Ora, grazie a questo studio, gli scienziati sanno quali sono i soldati scelti da 'caricare' contro il cancro: "Possiamo supporre - prosegue la ricercatrice - che se armiamo geneticamente la sottopopolazione di 'cellule T staminali di memoria' queste cellule sopravvivranno molto a lungo nel paziente, contribuendo a mantenere la remissione. La presenza del gene suicida TK, inoltre, ci permetterà di controllare le eventuali tossicità".

"Abbiamo a disposizione diverse piattaforme di trasferimento genico che stanno esplodendo negli Stati Uniti e in Europa - dice Bonini - Ciò che dovremo fare, ora che sappiamo quali sono i linfociti T giusti da usare", ossia i soldati più 'promettenti' del sistema immunitario, "è modificarli con geni che li rendono capaci di riconoscere, attaccare e uccidere selettivamente le cellule tumorali. Ogni linfocita T - ricorda infatti la scienziata - riconosce un antigene specifico su un'altra cellula, che sia un virus dell'influenza o della varicella, o un qualunque altro agente patogeno. Nel nostro organismo ci sono anche linfociti T che riconoscono le cellule tumorali, ma sono molto rari mentre un paziente ha bisogno di averne molti. Il nostro compito è proprio questo: somministrargli un esercito di linfociti T anticancro costruito da noi".

Per farlo le strade possibili sono 2. "La prima è armare i linfociti T usando i recettori Car, che nelle leucemie acute hanno fatto la differenza producendo risposte cliniche un tempo impensabili. Questi recettori però hanno un problema - precisa Bonini - perché riconoscono solo strutture che si trovano sulla superficie esterna della cellula tumorale bersaglio. Se l'antigene è all'interno, Car non lo vede". Per bypassare l'ostacolo c'è una seconda via: "Usare il recettore Tcr, naturalmente presente nei linfociti T e in grado di colpire anche un antigene interno alla cellule bersaglio. Attraverso una particolare tecnologia di editing genetico, usando cioè una 'forbice molecolare', andiamo prima a eliminare il Tcr proprio del linfocita. E una volta che lo abbiamo spogliato, mettiamo sul linfocita nudo il Tcr che vogliamo noi: un Tcr anticancro" che armi il soldato contro la malattia.

"Con entrambi i progetti, Car e Trc, siamo in fase preclinica molto avanzata - assicura la studiosa - Ora si tratta di terminare gli ultimi passaggi e di trovare i finanziamenti per passare sull'uomo". Un punto dolente, riflette Bonini. "Come chairman del Cellular Therapy and Immunobiology Working Party dell'Ebmt", la Società europea per il trapianto di sangue e midollo, "mi sto occupando di promuovere l'immunoterapia dei tumori in Europa e sono sempre più evidenti 2 cose: da un lato bisogna armonizzare le regole della sperimentazione scientifica, eliminando gli ostacoli burocratici legati all'esistenza di diversi enti regolatori per arrivare a poter fare studi 'europei'; dall'altro è necessario aumentare l'entità dei fondi per gli studi di fase clinica I/II, di competenza perlopiù universitaria. E' un appello", conclude Bonini, perché "solo così l'Europa potrà restare al passo degli Usa".

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