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Trovato nuovo interruttore in grado di bloccare il cancro

Infophoto - INFOPHOTO
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26 novembre 2015 | 15.35
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Nuove armi nella lotta al cancro. Partendo da precedenti studi, un gruppo di ricercatrici dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) ha identificato un nuovo possibile approccio terapeutico per la cura del cancro, attraverso la riattivazione della proteina p53, noto soppressore tumorale considerato uno dei più importanti fattori per il controllo dello sviluppo e della progressione della malattia che infatti risulta inattivo in quasi tutti i tumori umani. I risultati sono pubblicati sulla rivista 'Cancer Research'.

"Grazie a tecniche di biologia molecolare e cellulare è stata individuata una sostanza (un peptide) in grado di riattivare il soppressore tumorale p53, portando alla morte le cellule cancerose. In sintesi, questo peptide riesce ad annullare la collaborazione tra gli inibitori MDM4 e MDM2 che disattivano p53 rendendolo inefficace", spiega Fabiola Moretti dell’Ibcn-Cnr che guida il gruppo di ricerca. La sperimentazione indica inoltre che tale peptide è inattivo sulle cellule normali analizzate, facendo ipotizzare che questa nuova strategia possa essere ben tollerata dai tessuti sani.

"Studi ulteriori saranno necessari per rendere tale peptide un vero farmaco - precisa Moretti - Rispetto alla sostanza individuata in questo studio, le terapie sviluppate finora per riattivare p53 nei tumori non sono in grado di bloccare simultaneamente i due inibitori; inoltre una prima sperimentazione clinica ha anche evidenziato una forte tossicità di una di queste terapie, dovuta al danneggiamento di alcuni tessuti sani". Lo studio dell’Ibcn-Cnr è stato realizzato grazie al supporto dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) e del progetto Cnr-ministero dell’Economia e finanza 'FaReBio di qualità'. Il lavoro, inoltre, è frutto della collaborazione dell’Università di Perugia, dell’Università Cattolica di Roma, dell’Istituto Regina Elena di Roma, dell’Istituto europeo per la ricerca sul cervello (Ebri)-Rita Levi Montalcini e dell’Università di Leuven in Belgio.

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