Essere pronti a fare uno screening su base nazionale della popolazione di pazienti a rischio di evoluzione verso l'Alzheimer, al fine di ottimizzare la distribuzione dei nuovi farmaci, circa 50 attualmente allo studio. Con lo scopo anche di evitare di esporre al trattamento e alle potenziali correlate reazioni avverse pazienti che non ne trarrebbero giovamento e garantendo, quindi, la sostenibilità del sistema. E' l'obiettivo del progetto Interceptor presentato oggi a Roma al ministero della Salute, finanziato con 3,9 milioni di euro e che coinvolgerà 400 pazienti con lievi deficit cognitivi, sui quali saranno valutati 7 biomarcatori, per capire quali sono in grado di selezionare con maggiore precisione l'evoluzione della malattia a 3 anni dalla diagnosi.
La malattia di Alzheimer rappresenta la più frequente patologia neurodegenerativa. La prevalenza aumenta con l’età e raggiunge il 15-20% nei soggetti di oltre 80 anni. Il problema è destinato a crescere: secondo le stime ogni anno vengono diagnosticati 7,7 milioni di nuovi casi (come dire che ogni 3 secondi viene diagnosticato un nuovo caso) e la sopravvivenza media dopo la diagnosi è oramai di oltre 10 anni.
A oggi non esistono farmaci in grado di fermare o far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi o limitarne l’aggravarsi per alcuni mesi. Ma negli ultimi anni l'approccio più frequente della ricerca è quello di sviluppare un intervento farmacologico precocissimo sulle prime fasi della malattia in cui i sintomi sono minimi. Diventa così essenziale l’individuazione di biomarcatori che permettano di predire la conversione verso la demenza di Alzheimer dei pazienti con lieve compromissione delle funzioni cognitive (Mild cognitive impairment), ovvero individui con rischio maggiore di sviluppare malattia di Alzheimer (circa 735.000 persone in Italia).
Per questo il ministero della Salute e l’Agenzia italiana del farmaco, insieme a un gruppo di esperti sulle demenze, ha dato avvio ad una serie di attività programmatiche, al fine di essere pronti a gestire l’evenienza dell’arrivo sul mercato di uno o più farmaci capaci di prevenire o curare la demenza di Alzheimer. Nei prossimi anni, appunto, termineranno le sperimentazioni di oltre 50 farmaci potenzialmente in grado di rallentare/arrestare l’Alzheimer. Ma molti di essi agiranno solo nelle forme 'prodromiche' di malattia che appartengono a una condizione definita Mild Cognitive Impairment (Mci).
Gli esperti, quindi, hanno disegnato lo studio osservazionale Interceptor che coinvolgerà 400 pazienti con lievi deficit cognitivi, di età compresa tra 50 e 85 anni, distribuiti in 5 centri italiani, specializzati nella diagnosi e nella cura della demenza di Alzheimer. Saranno valutati 7 marcatori selezionati sulla base dell’evidenza scientifica a oggi disponibile, al fine di stabilire quali siano più sensibili e specifici per predire la conversione del lieve declino cognitivo in demenza di Alzheimer. Il costo totale stimato per i 400 pazienti è pari a euro 3.950.000.
Il vantaggio in termini sanitari ed economici - rilevano le istituzioni promotrici - è evidente se si considera che, in Italia, il numero totale dei pazienti con demenza di Alzheimer (circa la metà di tutte le varie forme di demenza) è stimato in oltre 600.000 casi e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. Stime di calcolo sui costi socio-sanitari della demenza di Alzheimer ipotizzano cifre complessive pari a circa 6 miliardi. Tutti i pazienti saranno valutati mediante i 7 biomarcatori: alcuni test neuropsicologici, il dosaggio di alcune proteine su campioni di liquor cefalorachidiano, la tomografia ad emissione di positroni (Pet), l’analisi genetica, la valutazione del tracciato elettroencefalografico (Eeg) per connettività e la risonanza magnetica volumetrica. Inoltre, alcuni campioni biologici (Dna, siero, plasma e liquor) saranno conservati in un biorepository (a -80 °C), pronti per eventuali altri test, se nel prossimo futuro dovessero emergere nuovi marcatori. I pazienti saranno monitorati per 3 anni, al termine dei quali sarà possibile concludere quale biomarcatore o quale combinazione di biomarcatori, è stato in grado di selezionare con maggior precisione l’evoluzione della malattia a 3 anni dalla diagnosi.