"A questo punto non abbiamo più dubbi: il cattivo è lui, il colesterolo Ldl. E per i pazienti il beneficio clinico è proporzionale alla sua riduzione. Il problema è che in Italia è trattato in modo appropriato meno del 50% dei pazienti ad alto rischio". Lo afferma Alberto Zambon, lipidologo del dipartimento di Medicina dell'Università di Padova, commentando i risultati dello studio Fourier presentato oggi a Washington, che hanno destato entusiasmo tra i cardiologi e gli esperti presenti all'Acc 2017.
"Entusiasmo perché per la prima volta uno studio di queste dimensioni ha analizzato l'effetto di un farmaco innovativo", un anticorpo anti-colesterolo 'targato' Amgen, "sui pazienti ad alto rischio. Ma nello studio i pazienti in partenza erano già trattati al meglio con le terapie disponibili: su di essi evolocumab ha dimostrato la sua capacità non solo di abbassare a livelli mai visti il colesterolo Ldl, ma anche di ridurre del 20% gli eventi cardiovascolari maggiori. In dettaglio, parliamo di un -27% del rischio di infarto, di un -21% di ictus e di un -22% di rivascolarizzazione coronarica".
Ma se passiamo dallo studio alla realtà, "i pazienti ad alto rischio ben trattati nel nostro Paese sono meno del 50%. Alcuni non lo sono affatto. Ecco perché dico che questo studio è una spinta poderosa a curare al meglio questi pazienti: ci dice cosa potremmo ottenere. Ma la strada da percorrere è ancora lunga". Il lipidologo è colpito dalla riduzione 'estrema' del colesterolo cattivo ottenuta con il farmaco intelligente: "A fronte di una media di 30 mg/dL, un gruppo è arrivato anche a 20. Un Ldl bassissimo, mai studiato prima se si eccettuano casi sporadici. Che ci dice che in pazienti al alto rischio - conclude - il colesterolo cattivo 'più basso è, meglio è'".