La pazienza, dice un antico proverbio, è la virtù dei forti. Ma potrebbe anche essere utile per vivere a lungo. E' quanto suggerisce una ricerca della National University di Singapore. L'impazienza, la collera e la smania - secondo lo studio - sono stati d'animo che potrebbero portare a un invecchiamento precoce rispetto a chi invece è più calmo e quieto. Il lavoro è stato pubblicato su 'Proceedings of the National Academy of Sciences'.
"L'impazienza è negativamente associata a un ampio spettro di attività che danneggiano la qualità della vita, dall'abuso di sostanze a un eccesso di attività fisica, che possono consumare l'organismo", suggeriscono i ricercatori. Ma l'impazienza - ipotizzano gli studiosi - potrebbe essere 'scritta' anche nel nostro Dna. Per misurare quanto si è smaniosi e a quali conseguenze porta questo stato d'animo - riporta il 'Telegraph' - gli scienziati si sono affidati a una prova nota come 'Marshmallow Test', usata con i bambini a cui viene chiesto se vogliono un dolcetto subito o due più tardi: chi sceglie la seconda opzione e aspetta in genere ha maggiori possibilità di fare bene nella vita.
I ricercatori hanno chiesto a 1.100 studenti di partecipare a un gioco in cui potevano scegliere un premio in denaro immediato o attendere e avere più soldi in futuro. Allo stesso tempo ai partecipanti sono state fatte analisi del sangue ed è stata misurata la lunghezza dei loro telomeri, i 'cappucci' di protezione dei cromosomi che impediscono al Dna di danneggiarsi e sono una spia, quando si accorciano, anche dell'invecchiamento. Ebbene, gli studenti che avevano scelto la ricompensa immediata avevano anche telomeri più corti, il che suggerisce che l'impazienza è in qualche modo scritta nel Dna ed è legata a una 'diminuzione' della durata della vita.
"Non siamo in grado di dare ancora una risposta certa ai meccanismi di base che legano i telomeri all'impazienza, se infatti quest'ultima è la causa dell'accorciamento dei telomeri o, in alternativa, i telomeri più corti portano ad essere maggiormente impazienti", concludono i ricercatori.