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Brexit: l'esperto, Londra fingerà di piangere puntando a diventare hub Ue

Maurizio Primanni
Maurizio Primanni
06 aprile 2017 | 13.43
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"Brexit? Londra fingerà di piangere per la finanza, ma in realtà punterà a diventare hub europeo delle migliori aziende mondiali". Così, in un'intervista a Labitalia, Maurizio Primanni, esperto di economia e di finanza internazionale, che ha lavorato a lungo a Londra e ora è ceo di Excellence Coonsulting, societa di consulenza del settore bancario. "Il Regno Unito -spiega- è un importatore netto, importa più di quanto esporta. Nel secondo semestre del 2015 e per tutto il 2016, fatto 100 il totale, l'export verso i Paesi Ue è stato tra il 40 e il 50% circa, mentre l’import tra il 45 e il 55%. Nel gennaio 2017 ha esportato per 28 miliardi di sterline, di cui 13 miliardi in Ue".

"Uscendo dal libero mercato europeo -sostiene- esporterà sicuramente meno e ciò determinerà una diminuzione del pil, il che significa impoverimento della popolazione, a meno che non riesca a far crescere più velocemente la produzione interna. Per giunta, importare costerà di più, gli scaffali dei negozi saranno peggio forniti e conseguentemente diminuirà la qualità delle vita e l'attrattività del paese".

"Secondo uno studio della London school of economics -ricorda Primanni- nel lungo periodo (oltre i tre anni) il pil potrebbe scendere dal 6,5 al 9,5%. Una cifra davvero importante: tra i 130 e i 190 miliardi di euro. A ciò si aggiunga la progressiva svalutazione della sterlina che negli ultimi mesi ha già perso il 15%, a cui potrebbe fare seguito un flusso di capitali verso l’estero. Un altro elemento che determinerà impoverimento generale o, meglio, un ulteriore allargamento delle differenze sociali tra pochi che saranno ancora più ricchi e la maggioranza sempre più povera".

"Non credo -commenta- che lavoratori Ue in Uk siano un altro oggetto del contendere. Quella dei lavoratori è una questione che potrebbe essere utilizzata strumentalmente. Oggi i lavoratori stranieri nel Regno Unito sono 8,3 milioni, di cui 3,3 cittadini Ue. Essi stanno in Uk perché vi hanno trovato un buon lavoro remunerato con una sterlina che finora è stata forte e poteva essere vantaggiosamente cambiata in euro. Con Brexit non sarà più conveniente lavorare oltremanica. Saranno i lavoratori stessi ad andarsene verso altri paesi, magari negli Stati Uniti o in Germania".

"Tutto ciò -fa notare- pesa sulla prima ministra Theresa May che non si era mai schierata apertamente per il leaving, ma senza il referendum non sarebbe mai diventata primo ministro. Ora asseconda giustamente la volontà popolare. Essendo debole in Parlamento, dove è stata bocciata diverse volte, cerca di assecondare la volontà popolare e per questo ha accelerato per un negoziato veloce. In realtà, ha lanciato anche un messaggio chiaro sulla sua posizione negoziale: 'Ce ne andiamo dalle istituzioni europee, non dall'Europa'".

"Si rivolge -continua- ai Paesi extra Ue e alle aziende internazionali. Alla Cina e agli Usa dice: 'Se volete investire in Europa, venite in Uk, avrete un unico interlocutore, a differenza della pletorica Ue, e vi daremo incentivi a farlo'. Potrebbe adottare politiche tipiche anche di altri paesi, quali ad esempio il Lussemburgo, una sorta di ruling policy fiscale basata su accordi specifici tra fisco e grandi aziende mondiali che consentano loro di pagare tasse molto basse per tutto il business che porteranno in Uk. Sono già iniziate le manovre in tal senso. E per questo che Nissan ha annunciato di volere aumentare i posti di lavoro in Uk, Apple di assumere 1.400 persone a Londra e la giapponese Asahi, che ha da poco acquisito la Birra Peroni, di voler andare anch’essa in questa direzione".

Per Primanni, "da perdere Londra da Brexit oltre all’impoverimento della popolazione ha i 40 miliardi che deve restituire agli altri Paesi". "Per questo prevedo - avverte - che la sua strategia negoziale sarà di lungo periodo, nonostante l’avvio sia stato rapido, per assecondare come detto la volontà popolare che al referendum ha votato per il leaving e quindi non perdere consenso politico. Non è un caso che il team Uk per la negoziazione è composto da 'solo' 100 persone. L’obiettivo sarà quello di cercare di dividere la Ue, di rimandare le decisioni, di prendere tempo insomma".

"May -rimarca- fingerà di piangere per il ridimensionamento del predominio finanziario, ma ritengo che questa sarà l'esca per l'Ue. Il Regno Unito è il più grande esportatore di servizi finanziari del mondo. Il suo surplus di 97 miliardi di dollari nel 2015 è due volte quello degli Stati Uniti. Il 39% delle contrattazioni dei derivati sui tassi di interesse passa da Londra".

"Uk -sottolinea- è il centro europeo più importante per hedge fund e per le attività di clearing di tutto il settore del risparmio gestito. Volumi così alti che eventuali migrazioni oltremanica incideranno sul totale in misura presumibilmente limitata. May metterà sul tavolo negoziale questo elemento, il cui peso in realtà è relativo. Ciò che teme è l'impoverimento della Uk, la conseguente perdita di consenso e il suo futuro politico, oltre chiaramente ai 40 miliardi che deve restituire. La finestra è stretta, ma riuscirà a far tornare i conti proponendosi come hub europeo per le più grandi aziende mondiali di tutti gli altri settori industriali".

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