Un uomo sdraiato su un divano nel bel mezzo del deserto del Nevada, ai confini della famigerata Area 51, con delle cuffie sulle orecchie collegate ad una grande antenna puntata verso il cielo, con cui cerca di ascoltare le voci dell'universo. Inizia così, con un Valerio Mastandrea nei panni di uno scienziato eremita vestito come un astronauta un po' sciatto, 'Tito e gli alieni', il film di Paola Randi che, dopo essere stato presentato e apprezzato al 35° Torino Film Festival e aver vinto il premio per la regia e migliore attore protagonista al Bif&st 2018, arriva nelle sale il 7 giugno in oltre 100 copie, distribuito da Lucky Red e prodotto da Bibi Film con Rai Cinema e TimVision.
L'incipit del film, che racchiude il motore dell'intera storia, è stato suggerito alla regista da una vicenda personale: "Qualche anno fa - ha raccontato Paola Randi - colsi mio padre assorto davanti ad una foto di mia madre sorridente incorniciata e appesa al muro. La memoria di mio padre si stava scogliendo come neve al sole, mia madre era scomparsa da più di dieci anni e lui passava ore a contemplarne il viso cercando di conservarne il ricordo. Questa immagine me ne provocò un'altra che mi ha portato a sviluppare questa storia: quella di uomo solo nel deserto intento ad ascoltare senza sosta i segnali dell'universo in cerca della voce della moglie scomparsa".
L'isolamento del 'professore' Mastandrea, il cui unico contatto con il mondo è Stella (l'attrice francese Clemence Poesy), una ragazza che organizza matrimoni per turisti appassionati di alieni e ufo, è destinato però a durare poco: da Napoli, il fratello Fidel, con un dvd postumo, gli annuncia di avergli affidato i due giovani nipoti, Anita di 16 anni e Tito di 5, che lo raggiungeranno in America. I ragazzi (interpretati dai bravissimi Chiara Stella Riccio e Luca Esposito) arrivano aspettandosi Las Vegas, villa con piscina e star hollywoodiane e si ritrovano in mezzo al nulla, nelle mani di uno zio squinternato, in un luogo strano e misterioso dove si dice che vivano gli alieni.
"Il professore - ha spiegato Mastandrea - è uno che mantiene vivo in maniera acritica il ricordo di una persona che non ha più. E questo gli impedisce di andare oltre. È come immerso in un lungo letargo e viene svegliato da due 'mosche', da questi due ragazzini che lo costringono a vivere, a riprovare sentimenti". "Questo è un film che vuole dare un profondo messaggio di speranza, perché siamo tutti un po' alieni per qualcuno", ha sottolineato la regista.
Fiaba fantascientifica capace di commuovere e divertire, l'opera seconda di Paola Randi, da sempre appassionata di fantascienza, è influenzata per sua stessa ammissione dalle visioni 'extraterrestri' di Spielberg, Lucas e Nolan ma è stata girata in 5 settimane ("un tempo record per un film di questo tipo") con un budget di 3 milioni di euro tra il deserto del Nevada, la regione di Almeria già nota per i set degli spaghetti western e Montalto di Castro. "L'ambientazione americana ha a che fare, oltre che con la suggestione 'aliena' dell'Area 51, con il fatto che questo film parla di lutto e di memoria recente e gli Usa per noi europei sono l'incarnazione della memoria recente...", ha aggiunto Paola Randi.
Eppure la regista ha voluto fortemente che i due protagonisti parlassero napoletano: "Io amo molto Napoli e infatti avevo girato lì anche il mio primo film ('Into Paradiso' del 2010). E Napoli ha un rapporto con la magia e con l’aldilà molto speciale e quotidiano, quindi era fondamentale per riuscire a raccontare questa storia", ha detto Paola Randi che ha voluto ricordare un "un altro pezzo importante di Napoli presente nel film": Fausto Mesolella, il musicista partenopeo che ha curato la colonna sonora ed è scomparso durante la lavorazione del film, a cui 'Tito e gli alieni' è dedicato.