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Pd battuto in Senato, venti di crisi

Il senatore di Ap, Salvatore Torrisi (FOTOGRAMMA)
Il senatore di Ap, Salvatore Torrisi (FOTOGRAMMA)
05 aprile 2017 | 19.56
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L'occasione era da tempesta perfetta. Un voto segreto, i numeri precari, le fibrillazioni nella maggioranza, la legge elettorale, una commissione delicata. E alla fine la tempesta c'è stata per davvero. Un blitz che ha visto sullo stesso fronte M5S-Fi-Lega-centristi-Mdp (secondo le accuse dei renziani) ha affondato l'elezione a presidente della commissione Affari costituzionali del dem Giorgio Pagliari, su cui è prevalso il centrista Salvatore Torrisi. Angelino Alfano ha chiesto al suo senatore di fare un passo indietro.

Un incidente parlamentare che nel corso della giornata, però, ha assunto contorni più ampi arrivando a coinvolgere il premier Paolo Gentiloni e il capo dello Stato, Sergio Mattarella. Il Pd ha chiesto un incontro al premier e al presidente della Repubblica per quanto accaduto al Senato. Perché al di là di chi guida la commissione, il blitz di palazzo Madama porta a due conseguenze oggettive, secondo il fronte renziano.

Torrisi, il senatore Ap nell'occhio del ciclone

La prima è che un pezzo della maggioranza non vuole la legge elettorale. L'elezione di un centrista "che sostiene il proporzionale", rileva Ettore Rosato, è un colpo a chi punta a un maggioritario come il Pd. La seconda, e più rilevante, è che al Senato una maggioranza, diversa da quella che regge il governo, ha determinato l'incidente. L'equazione è semplice: non c'è più una maggioranza a palazzo Madama. O quantomeno è fortemente precaria. Oggi è andata così, rilevano ambienti renziani, domani potrebbe capitare su un provvedimento cruciale per il governo. Mai uscito di scena, il voto anticipato torna ad essere evocato.

Parte Lorenzo Guerini. "Ciò che è successo in prima commissione è il tradimento di una normale modalità di stare insieme in maggioranza. Siamo molto preoccupati per quello che è avvenuto". Poi arriva Ettore Rosato: "Quanto si sta in maggioranza la lealtà non è un optional". Quindi Matteo Orfini: "Gentiloni è il nostro presidente del consiglio con lui vogliamo confrontarci sulla maggioranza di governo". Una richiesta accordata in serata, con l'incontro fra il premier e i due esponenti dem.

"Abbiamo raccontato al presidente quello che è successo e manifestato preoccupazione per quello che è accaduto, sottolineando la gravità", ha detto Orfini lasciando Palazzo Chigi con Guerini.

"Abbiamo discusso insieme di come noi vogliamo affrontare questo passaggio. C'è una ferita che bisogna cercare di sanare, viene da dentro la maggioranza di governo, noi abbiamo sempre garantito lealtà e ci aspettiamo lealtà, che oggi non c'è stata", aggiunge Orfini e conclude: "Abbiamo apprezzato la parole di Alfano".

Dal canto suo, Gentiloni ha condiviso le preoccupazioni di Orfini e Guerini, assicurando da parte sua l'impegno per contribuire al rafforzamento della coesione della maggioranza.

Prima dell'incontro con il premier, nel mirino del presidente Dem erano finiti centristi e Mdp. Per Orfini, infatti, "Mdp non agisce come una forza della maggioranza. E' uscito dal Pd per votare insieme alla destra contro il governo e contro la maggioranza". A rincarare la dose, i renziani fuori dalle virgolette: "Da Lo Moro e Migliavacca (i due rappresentanti di Mdp in commissione, ndr) è stato fatto più di uno strappo, è stato un vero atto di guerra. Come si può andare avanti al Senato in queste condizioni? La maggioranza non c'è...".

Ma i due alleati sotto accusa respingono gli attacchi. Mdp dice che nel blitz contro il Pd non c'entra nulla e che semmai i dem "dovrebbero guardare a casa loro...". Insomma: franchi tiratori nel voto segreto, lo scontro congressuale che arriva fino alla commissione Affari costituzionali. Tra i centristi, gli esponenti di Ap più vicini a Renzi spingono Torrisi per le dimissioni. In serata arriva la richiesta direttamente da Angelino Alfano (da Bruxelles ha avuto contatti con Gentiloni). Il ministro degli Esteri specifica che Ap è stata leale, mentre rileva che "voti in dissenso dalla indicazione" pare siano venuti del Pd.

Nel mirino finisce anche il presidente dei senatori Pd, Luigi Zanda, che negli ultimi mesi è stato protagonista di qualche attrito con Matteo Renzi. "Una gestione fallimentare anche di questa partita". L'accusa è quella di non aver preso la situazione in mano con maggiore decisione. "Non si aspettano 5 mesi...". Fonti vicine a Zanda respingono le accuse.

Intanto sui tempi nella scelta del nuovo presidente di commissione dopo il passaggio di Anna Finocchiaro al governo. "Ogni decisione presa da Zanda è sempre stata concordata con i vertici del Pd e con il gruppo". Compresa quella di rallentare la pratica Affari Costituzionali. "Senza Zanda non so come sarebbero andate le cose - si sfoga un senatore vicino al presidente - la gestione del gruppo in questi anni è stata dura, difficoltosa, ma mai ci sono state sbavature...".

E anche sull'incidente, si fa sapere, che "in più occasioni e con ogni interlocutore Zanda aveva fatto presenti le insidie di questo voto. Ma detto questo, ha lavorato in ogni modo per far eleggere Pagliari". Intanto nel caos scoppiato al Senato circola anche la voce che nel blitz avrebbe un ruolo Silvio Berlusconi. Rumors non confermati darebbero Torrisi verso Forza Italia.

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