Dimissioni. Come aveva annunciato ieri sera, con un filo di commozione. Matteo Renzi ha spiegato al capo dello Stato Sergio Mattarella che, dopo la vittoria del no al referendum, l'esperienza del suo governo è arrivata al capolinea. Prima, un Cdm lampo con tanto di brindisi con i ministri: "Grazie a tutti voi per la collaborazione e per lo spirito di squadra mostrato in questi mille giorni".
Fin qui, i titoli di coda sul 'Renzi I' sono filati come da programma. Ma al finale si è arrivati dopo una giornata carica di tensioni e di incertezze che non ha risparmiato il colpo di scena finale. "Il Presidente della Repubblica, considerata la necessità di completare l’iter parlamentare di approvazione della legge di bilancio onde scongiurare i rischi di esercizio provvisorio, ha chiesto al presidente del Consiglio di soprassedere alle dimissioni per presentarle al compimento di tale adempimento", recita la nota del Quirinale che ha spiegato i termini dell'incontro tra Mattarella e Renzi.
Il premier ne aveva accennato anche ai ministri nel Cdm, le dimissioni ci sono. Ma per farle diventare operative si attende il via libera alla manovra. E' stato questo il compromesso cui, faticosamente, si è lavorato per tutto il giorno in una triangolazione Quirinale-palazzo Chigi. La manovra resterà intonsa, a differenza di quello che era stato previsto in origine, per consentire un sì del Senato veloce, anche in settimana. Per Renzi, il massimo sarebbe entro mercoledì pomeriggio, entro la Direzione Pd. Ma si potrebbe arrivare a venerdì. Sul piatto, per le opposizioni, le dimissioni del premier tanto invocate in queste ore.
Il punto è che per tutto il giorno Renzi ha ribadito la sua determinazione a dire addio immediatamente al governo, e sulla scia dell'amarezza, anche al Pd. "Io non sono come tutti gli altri politici, ho sempre detto che in caso di sconfitta avrei mollato", si sono sentiti ripetere tutti i suoi interlocutori.
In questo quadro si è svolto stamattina un primo incontro tra Renzi e Mattarella, con il premier fermo sulla sua intenzione di fare bandiera della sua coerenza. A quel punto si è attivata tutta la diplomazia del Quirinale, formalizzata in una nota in cui Mattarella parlava di "impegni e scadenze da rispettare". Ore di trattative serrate, sciolte solo in serata con la formula del capo dello Stato che chiede al premier di evitare il rischio di "esercizio provvisorio".
#Quirinale: Il Presidente #Mattarella ha ricevuto il Presidente del Consiglio #Renzi pic.twitter.com/F6JdlsxGDt
— Quirinale Uff Stampa (@Quirinale) 5 dicembre 2016
Se la tabella verrà rispettata, presto Renzi avrà il suo successore da accogliere a palazzo Chigi "con il sorriso sulle labbra", come ha detto lui stesso nella notte. Ad oggi, il candidato con il profilo più adatto resta Pier Carlo Padoan, come l'orizzonte: legge elettorale e poi elezioni. "Anche a febbraio-marzo, se possibile", per usare le parole dei Big renziani. Ma parallela alla partita di governo si è giocata intanto anche quella nel Pd. A turno, diversi ministri e dirigenti del partito hanno chiesto a Renzi di ripensare la sua intenzione di lasciare, ribadita anche stamattina.
A vestire i panni dei pontieri, soprattutto Dario Franceschini e Graziano Delrio. Due gli argomenti utilizzati, il senso di responsabilità e il valore dei numeri: alla fine il Sì (cioè Matteo Renzi) ha messo insieme oltre 13 milioni di italiani. Sono numeri superiori a quelli del 40% alle Europee. Per favorire una soluzione positiva, la Direzione convocata per domani è stata spostata a mercoledì alle 15. Fino ad allora si studierà la soluzione migliore.
Come quella, circolata in giornata, di un Renzi che si presenta dimissionario ma viene confermato segretario. Un primo plebiscito che potrebbe far ripartire una nuova stagione del renzismo, lontana da quella della 'rottamazione', e che dovrebbe passare da un'intesa interna e un anticipo del Congresso.
Alla fine, sono proprio i renziani più ortodossi a (ri)suonare la carica. "Tutto è iniziato col 40% nel 2012. Abbiamo vinto col 40% nel 2014. Ripartiamo dal 40% di ieri!", ha scritto Luca Lotti su Twitter. Lo stesso tono di Andrea Marcucci: "Il Pd deve guardare avanti, non indietro. E ripartire con Renzi, dal 40% dei Sì al referendum". Per Renzi sarebbe un nuovo 'start', identico a quello post-primarie perse contro Pier Luigi Bersani che hanno fatto da preludio alla prima cavalcata verso palazzo Chigi.