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Ciampi, quel fogliettino sempre in tasca per dire no alla rielezione

(Afp) - AFP
(Afp) - AFP
16 settembre 2016 | 17.44
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"Voglio confermare pubblicamente la mia 'non disponibilità' ad un rinnovo del mandato, anticipata nel messaggio di commiato di fine anno (31 dicembre 2015, ndr)". Il comunicato ufficiale del Quirinale, tuttora sul sito internet del Colle, con data 3 maggio, reso noto a pochi giorni dalla scadenza del mandato presidenziale, era già pronto da mesi, scritto a mano in un foglietto che il presidente Carlo Azeglio Ciampi portava sempre con sé.

Perché Ciampi, sulla vicenda della rielezione, aveva le idee chiare, non ne voleva proprio sapere. "Una considerazione di carattere oggettivo - si legge in quel testo ufficiale, che di quel foglietto privato era la 'bella' - che ho maturato nel corso del mandato presidenziale: nessuno dei precedenti nove Presidenti della Repubblica è stato rieletto. Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. E' bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato".

Secondo quanto racconta uno dei suoi consiglieri, il giornalista Paolo Peluffo, per Ciampi, dieci anni fa, la scelta di non essere disponibile per un secondo mandato era una sorta di 'ossessione' democratica, fissata in quel foglietto sempre nel portafogli. Una scelta maturata ben prima della fine del settennato, quando "già da settembre 2005 ne cominciai a conoscere l'esistenza da qualche frase a metà", ricorda il consigliere nel suo libro 'Carlo Azeglio Ciampi. L'uomo e il presidente'.

"'Io quasi quasi lo leggo', diceva provocatoriamente Ciampi, per suscitare una nostra supplica 'no, no, per favore!'", scrive Peluffo, ricordando come lo staff temesse che quel mettere le mani avanti rischiasse di indebolire "l'autorità morale del presidente della Repubblica proprio in questa coda di legislatura e di mandato". Obiezioni a cui il capo dello Stato rispondeva a Peluffo, Gifuni e Arrigo Levi con un "in cauda venenum".

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