"Non c'è stata da parte mia alcuna collusione, e non sono a conoscenza di alcuna da parte di altri, con governi stranieri". E' quanto afferma Jared Kushner nella testimonianza scritta consegnata ai senatori della commissione Intelligence, che dalle 10, le 16 in Italia, lo ascolteranno, a porte chiuse, sul Russiagate. E che ha diffuso alla stampa prima dell'inizio dell'audizione.
Nelle 11 pagine Kushner si descrive come un leale, super impegnato e con poca esperienza politica consigliere del suocero Donald Trump in una campagna elettorale che non ha mai avuto un numero sufficiente di collaboratori. "Io non sono una persona che cercava i riflettori", ha aggiunto il miliardario newyorkese, spiegando che dopo che Trump ha conquistato, inaspettatamente, la nomination il suocero gli chiese curare i rapporti con i Paesi stranieri, entrando così in contatto con ambasciatori di 15 Paesi.
Kushner afferma di avere avuto solo quattro, brevi, incontri con i russi, e di aver avuto non "una relazione stretta con l'ambasciatore Sergey Kislayk, ma una conoscenza molto limitata". "Infatti, il 9 novembre, il giorno dopo la vittoria elettorale, non potevo neanche ricordare il suo nome", ha detto ancora il genero del presidente, parlando del diplomatico americano con il quale, secondo quanto rivelato nei mesi scorsi, avrebbe poi durante i mesi della transizione avviato canali di comunicazione segreti tra Donald Trump e Mosca.
Per dimostrare il suo punto, Kushner afferma che "quando la campagna ricevette la mail con la lettera di auguri del presidente Putin, mi fu chiesto di verificarne l'autenticità, ed io pensai di chiamare l'ambasciatore russo incontrato mesi prima e chiesi ad un giornalista: qual è il nome dell'ambasciatore russo?".
"Non ho avuto contatti impropri e non mi sono affidato ai fondi russi per finanziare le mie attività imprenditoriali nel settore privato", afferma ancora Kushner nella testimonianza scritta, in relazione ai contestati incontri che avrebbe avuto con un banchiere russo. Il genero di Trump ha ribadito di essere "felice di condividere informazioni" con gli inquirenti e di non avere "nulla da nascondere".
Per la pericolosa vicenda dell'incontro con l'avvocatessa russa Natalia Veselnitskaya che, secondo quanto scritto da Trump jr in una mail, prometteva informazioni compromettenti su Hillary Clinton, Kushner prende nettamente le distanze dal cognato sostenendo che non aveva alcuna idea di che tipo di riunione fosse quella a cui, nell'estate del 2016, partecipò, per appena una decina di minuti, alla Trump Tower per diretto invito di Donald Trump jr.
"Documenti confermano che nella mia agenda l'incontro era segnato come 'incontro con Don jr" e nient'altro - ha scritto - e in realtà dopo 10 minuti che partecipavo all'incontro ho scritto alla mia assistente 'puoi per favore chiamarmi sul cellulare? Ho bisogno di una scusa per uscire'". Con tutti i distinguo e la cautela, comunque, Kushner afferma che "nella parte della riunione a cui ho partecipato non si è parlato mai della campagna elettorale, non c'è stato, a quanto io sappia, alcun seguito a quella riunione" che all'ordine del giorno aveva, come ha affermato la Casa Bianca, la questione delle adozioni.
Non solo. Kushner afferma che, fino allo scoppio dello scandalo, "non ricordava quante persone avessero partecipato alla riunione e i loro nomi, né di essere stato al corrente di documenti offerti o consegnati.