#ViajoSola, viaggio da sola. E' diventato un caso sul web il post di denuncia di Guadalupe Acosta, giovane studentessa paraguaiana che ha deciso di raccontare l'omicidio di due ragazze argentine, uccise brutalmente durante una vacanza. E lo ha fatto calandosi nei panni delle vittime, parlando in prima persona per chi come Marina e Maria non può più parlare né difendersi. Un vero e proprio atto di denuncia contro i tanti, troppi commentatori social che hanno accusato le due giovani di essersela 'andata a cercare'. Il motivo? Maria e Marina viaggiavano da sole, senza un fidanzato, un amico, un uomo come scorta. Una denuncia che è diventata virale, così come l'hashtag #ViajoSola, nuovo simbolo del diritto delle donne a viaggiare in sicurezza.
"Ieri mi hanno uccisa", ha scritto nel lungo post Guadalupe, "Ho impedito che mi toccassero e con un bastone mi hanno bucato il cranio. Mi hanno dato una coltellata e hanno lasciato che morissi dissanguata. Come immondizia mi hanno messo in una sacco di plastica nera, avvolta con del nastro adesivo e lasciata su una spiaggia, dove mi hanno trovata ore più tardi".
"Ma peggio della morte è stata l'umiliazione che è venuta dopo", continua Guadalupe. Perché per Maria Coni e Marina Menegazzo, morte a 22 e 21 anni, non c'è stata alcuna pietà nel giudizio, nemmeno davanti a tanta violenza: volontarie di un'associazione in vacanza in Ecuador e senza soldi, le due ragazze nel febbraio scorso hanno accettato l'ospitalità di due uomini che le hanno uccise poche ore più tardi, abbandonandone poi i corpi in un sacco di plastica in spiaggia.
"Dal momento che hanno ritrovato il mio corpo senza vita - denuncia Guadalupe - nessuno si è chiesto dove fosse il figlio di puttana che ha spento i miei sogni, le mie speranze, la mia vita. No, hanno invece iniziato a farmi domande inutili. A me, ve lo immaginate? Una morta che non può parlare e che non può difendersi. Come eri vestita? Perché eri sola? Perché una donna viaggiava senza accompagnatore? Sei andata in un quartiere pericoloso, cosa ti aspettavi? Hanno attaccato mio padre per avermi dato le ali, per aver lasciato che fossi indipendente come qualunque altro essere umano. Gli hanno detto - continua - che sicuramente ci stavamo drogando e che ce la siamo andata a cercare, che abbiamo fatto cose sbagliate, che avrebbe dovuto sorvegliarci. E solo da morta ho capito che per il mondo io non sono uguale a un uomo. Che morire è stata una mia colpa, che lo sarà sempre. Che se a morire fossero stati due maschi la gente avrebbe espresso le sue condoglianze e con discorsi falsi e ipocriti da doppia morale avrebbe chiesto pene più dure per gli assassini".
"Ma essendo una donna - scrive la studentessa - si minimizza. Diventa meno grave perché certamente me la sono andata a cercare. Facendo quello che volevo ho avuto quello che meritavo per non essermi sottomessa, per non essere restata a casa mia, per aver investito i miei soldi nei miei sogni. Per questo e per molto di più mi hanno condannata".
"Ti chiedo - conclude il durissimo post che ha raccolto migliaia di condivisioni - per me e per tutte le donne che hanno fatto tacere, che hanno zittito, a cui hanno tolto la vita e i sogni, di alzare la voce. Combattiamo, io al tuo fianco, nello spirito, e ti prometto che un giorno diventeremo così tante che non esisteranno sacchi sufficienti per zittirci tutte".
Ayer me mataron.Me negué a que me tocaran y con un palo me reventaron el cráneo. Me metieron una cuchillada y dejaron...
Pubblicato da Guadalupe Acosta su Martedì 1 marzo 2016