Il verdetto arriva quando sono passate da poco le 22: la Cassazione conferma l'ergastolo a Massimo Bossetti, condannato in primo e secondo grado per l'omicidio di Yara Gambirasio, la ginnasta 13enne di Brembate di Sopra, il cui corpo venne trovato il 26 febbraio 2011 in un campo incolto a Chignolo d'Isola, nel Bergamasco.
La Corte Suprema scrive così la parola fine a un'inchiesta record senza eguali in Italia e nel mondo. Un processo in cui la prova scientifica è stata protagonista assoluta. Dopo oltre 4 ore di consiglio, i giudici della prima Sezione penale presieduta da Adriano Iasillo hanno reso nota la decisione, giudicando "inammissibile" il ricorso della difesa contro la sentenza d'appello. Un ricorso di 23 motivi e oltre 600 pagine, firmato dai difensori del carpentiere di Mapello, in cui erano stati elencati tutti gli elementi in una lunga indagine.
Per la giustizia italiana, Bossetti è quindi in via definitiva l'assassino di Yara. Netta la linea del sostituto pg della Cassazione, Mariella de Masellis, che ha rilevato come la colpevolezza di Bossetti sia stata provata "al di là di ogni ragionevole dubbio". Per l'accusa, Bossetti "non ha avuto un moto di pietà e ha lasciato morire Yara da sola in quel campo".
Durante la giornata, Bossetti, recluso nel carcere di Bergamo, aveva avanzato la richiesta di ripetere la perizia sul dna. "Fatemi fare una volta la perizia sul dna, capirete che non sono io il colpevole", ha ripetuto ai suoi legali Claudio Salvagni e Paolo Camporini. "Siamo convinti della totale estraneità ai fatti di Bossetti - ha spiegato Salvagni in mattinata -. Qui l'imputato non è Bossetti ma la sentenza". Poi, dopo la conferma dell'ergastolo, fuori dalla Cassazione, ai microfoni di 'Quarto Grado', ha sottolineato: "Rimango convinto dell'innocenza di Massimo Bossetti". Per lui "sarà sicuramente una mazzata durissima - ha spiegato l'avvocato - ma sono convinto che saprà reagire nuovamente. La strade non sono chiuse, non sono finite. E' finita una prima fase, molto importante".
Ora, ha sottolineato Salvagni, "con pazienza e fiducia bisognerà rimettersi al lavoro perché ancor molto si può fare". "Io credo a Massimo, gli crede tutto il nostro team e tanta gente crede in lui, la sua famiglia in primis - ha concluso l'avvocato -. Faremo tutto quello che è nelle nostre possibilità".
Yara era scomparsa il 26 novembre 2010 e tre mesi dopo (26 febbraio) il suo corpo era stato trovato in un campo di Chignolo d'Isola. Quattro anni più tardi erano scattate le manette per Bossetti. La traccia biologica trovata su slip e leggings della vittima attribuita a 'Ignoto 1' poi identificato nell'imputato, finito in carcere il 16 giugno 2014, è la "pistola fumante" per l'accusa, solo un "mezzo Dna contaminato" per gli avvocati Salvagni e Paolo Camporini. I giudici di due diversi gradi hanno concordato nel ritenerla una "prova granitica", per i legali invece quella traccia "ha talmente tante criticità che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori".
Inoltre, l'assenza di mitocondriale va 'risolta' concedendo una perizia, non chiedendo "un atto di fede". Contro Bossetti, per l'accusa, ci sono stati anche altri elementi: il furgone immortalato dalle telecamere vicino alla palestra e le fibre trovate sulla vittima compatibili con la tappezzeria del suo Iveco; le sferette metalliche sul corpo di Yara che rimandano al mondo dell'edilizia e l'assenza di alibi per l'imputato.