"Non posso dimenticare le urla disperate dei miei genitori all’obitorio quando ebbero la possibilità di vedere il cadavere del figlio. Piangevano, li sentii gridare 'Dio mio, che ti hanno fatto'. Io non avrei voluto vederlo, preferivo ricordarlo con il suo sorriso. Ma poi ho ceduto e ho visto una scena pietosa: un corpo irriconoscibile, non sembrava neppure Stefano. Aveva il volto tumefatto, un occhio fuori dall'orbita, la mascella rotta, l'espressione del volto segnato dalla sofferenza e solitudine nella quale era morto". Sono le parole di Ilaria Cucchi, ascoltata in aula oggi davanti alla Corte d'assise al processo sulla morte del fratello Stefano, il geometra di 31 anni deceduto il 22 ottobre del 2009 all'ospedale Sandro Pertini di Roma, sei giorni dopo essere stato arrestato per possesso di droga dai carabinieri che, secondo la Procura, lo hanno massacrato di botte.
"La nostra era una famiglia fantastica e meravigliosa, sempre unita, nonostante le tante batoste dovute ai problemi di tossicodipendenza di Stefano - ha detto ancora - Non c'era Natale o compleanno che non festeggiassimo sempre assieme. Stefano era come me, non tollerava le ingiustizie. Spesso litigavamo anche pesantemente, ma da parte sua non ricordo mai un gesto di violenza fisica. Aveva un bel caratterino. La sera prima dell'arresto era andato in palestra. Stava bene, era magro come me, ma non aveva alcun problema di salute. Fino all'ultimo istante della sua vita ha combattuto e lottato per essere aiutato".
"Non mi sono persa una battuta di quello che io chiamo il 'processo sbagliato' per la morte di Stefano. Sono stata presente a tutte e 73 le udienze, nelle quali si parlava del carattere di mio fratello, si diceva che era morto di suo, che erano stati gli agenti di polizia penitenziaria a picchiarlo. E tutto questo per colpa di una persona che è presente in aula" ha detto ancora Ilaria Cucchi che ha fissato per diversi secondi negli occhi il maresciallo Roberto Mandolini, comandante all'epoca della stazione di via Appia, l'unico presente in udienza fra i cinque carabinieri imputati nel processo bis per la morte di Stefano, accusato di falso e di calunnia verso i tre agenti della polizia penitenziaria accusati del pestaggio.
Durante la deposizione, la madre di Stefano e Ilaria Cucchi, Rita Calore, è scoppiata in lacrime ricordando quando venne a sapere che il figlio era morto. "L'ho partorito, l'ho cresciuto, l'ho portato per mano, quando l'ho visto cadavere non l'ho riconosciuto" ha detto. Ma ancora più duro fu quando con il marito andarono in obitorio a vedere il corpo di Stefano: "Era uno scheletro, tutto nero, aveva una mascella rotta, un occhio fuori dall'orbita. C'erano poliziotti che giravano dappertutto e uno di loro scuoteva la testa". La donna ha ricordato lo choc del marito quando alcuni giorni prima andò a trovare il figlio dopo l'arresto: "Mi disse che aveva visto Stefano, che era tutto gonfio e rosso, nero sotto gli occhi. La sera prima quando lo aveva visto non era così. Disse che era una cosa davvero inaccettabile".
La mamma di Cucchi ha poi ribadito in aula di non aver "mai definito Stefano come un delinquente, neanche nei momenti di crisi più nere a causa della sua tossicodipendenza" a differenza di quanto apparso su un quotidiano che pubblicò una presunta intercettazione. Rispondendo infine alla domanda se qualcuno delle istituzioni l'avesse mai contattata, la donna ha concluso: "Mi contattò dopo la morte di Stefano il generale Vittorio Tomasone, all'epoca comandante provinciale dei carabinieri. Ci fece le condoglianze e ci disse che ci doveva parlare; 'se potete venite voi, altrimenti vengo io', disse, ci lasciò il suo numero di cellulare ma quella telefonata non ebbe più alcun seguito".
"Quando ho visto il cadavere di mio figlio, era dietro una teca di vetro, coperto con un lenzuolo fino al collo, sembrava un marines ucciso dal napalm in Vietnam, gli stessi poliziotti che erano lì si mettevano le mani in viso. Come è possibile morire mentre si è in mano dello Stato, quello Stato che doveva occuparsi di lui…". E’ stato questo il momento più toccante della deposizione in aula di Giovanni Cucchi.
"Dopo l’arresto, non appena ci dissero che era al Pertini, noi andavamo tutti i giorni in ospedale, senza riuscire a vedere Stefano né ad avere notizie su di lui - ha spiegato Cucchi - ma il fatto che stesse lì per noi era motivo di conforto perché anche se la situazione ci preoccupava era in mano ai medici e questo ci faceva pensare che lo avrebbero aiutato. Invece poi, giovedì, ci hanno chiamato per dirci che era morto, è stato uno shock; ci dissero ‘si è spento, le carte sono tutte a posto’, d’altronde per uno che è stato tutto il tempo col lenzuolo tirato su fino al viso…. Abbiamo saputo che Stefano era morto perché dovevano fare l’autopsia lo stesso giorno, una cosa da non augurare a nessuno", ha detto il padre di Cucchi.
"Mi resta il rammarico - ha concluso - che se avessi prospettato al difensore la concessione degli arresti domiciliari forse sarebbe andata diversamente. Mentre invece nel giorno della convalida suggerivo la comunità. Stefano da parte sua mi disse 'Ma non l'hai capito che mi hanno incastrato?' Ero disperato. La sera prima i carabinieri ci avevano detto che lo avrebbero presto rimandato a casa".