Interventi chirurgici addio per gli anziani affetti da stenosi della valvola aortica grazie alla cardiologia interventistica strutturale. E' quanto emerso nel corso della terza giornata di lavori del 78esimo Congresso della Società Italiana di Cardiologia in corso a Roma. Tra i temi trattati, spazio anche all’angioplastica che quest’anno spegne 40 candeline. La vita media si è allungata grazie soprattutto agli avanzamenti nella diagnosi e nella terapia delle malattie cardiovascolari. Il trattamento delle cardiopatie strutturali, cioè la possibilità di riparare le valvole cardiache per via percutanea, senza bisturi, rappresenta oggi una grande opportunità per i pazienti cardiopatici anziani.
La stenosi aortica degenerativa è una malattia tipica dell’anziano e, con l’aumento della vita media, essa sarà sempre più frequente in Italia. Purtroppo non esiste una terapia farmacologica e, se sono presenti sintomi e non si impianta una nuova valvola, questi pazienti vanno incontro a un’alta percentuale di casi di morte nell’arco di 2-3 anni.
Una delle più grandi innovazioni della cardiologia degli ultimi anni è la Tavi, cioè la possibilità di impiantare una valvola di maiale attraverso un catetere inserito in un’arteria della gamba. Tale intervento, senza anestesia generale e senza la necessità di aprire il torace, è una nuova straordinaria possibilità per i pazienti affetti da tale malattia. Al Congresso della Società Italiana di Cardiologia, sono state presentate le nuove linee guida della Società Italiana di Cardiologia in collaborazione con Gise per l’utilizzo della Tavi in pazienti affetti da patologia della valvola aortica.
Al momento la Tavi, a 15 anni dalla sua introduzione nella terapia della stenosi valvolare aortica calcifica dell’anziano ad alto rischio chirurgico (paziente in età avanzata con comorbidità quali broncopneumopatia cronica ostruttiva- Bpco, insufficienza renale, aorta a porcellana, fragilità globale), si è affermata come una metodica esclusiva per il trattamento dei pazienti ad altissimo rischio chirurgico e alternativa e competitiva con la chirurgia per i pazienti a rischio intermedio o basso.
“La novità di quest’anno riportata dalle linee guida europee e ribadite dal documento degli esperti della Sic - spiega Ciro Indolfi, Presidente Eletto della Società Italiana di Cardiologia - è la possibilità di effettuare un impianto valvolare percutaneo anche nei pazienti a rischio intermedio, cioè pazienti che non hanno un rischio alto chirurgico. Un maggior numero di pazienti potrà essere trattato da quest’anno con questa rivoluzionaria tecnica che permette l’impianto di una valvola cardiaca introducendola dall’arteria femorale”.
In Italia, pur essendo in aumento il numero delle Tavi di circa 4.000 unità, tale tecnica viene sottoutilizzata perché rispetto al fabbisogno di circa 300 pazienti per milione di abitanti, nel nostro Paese il numero di pazienti trattati è 68 per milione di abitanti (inferiore alla media europea di circa 87), con una disparità regionale molto marcata in virtù della quale si passa dalle circa 25 Tavi del Lazio alle oltre 100 della Lombardia. Mentre in tutto il mondo si sta andando verso l'utilizzo sempre più diffuso di questa possibilità terapeutica, in Italia è riservata maggiormente ai casi più gravi.
“In conclusione molti più pazienti dovrebbero essere oggi trattati con questa innovativa possibilità terapeutica - prosegue Indolfi - in considerazione degli ottimi risultati raggiunti in termini di allungamento della speranza di vita e della minore invasività e maggiore efficacia rispetto alla tecnica chirurgica”.
Nell’ambito della cardiologia interventistica, un’altra tecnica straordinaria consiste nella riparazione della valvola mitrale con una clip. Nei pazienti con insufficienza della valvola, il ventricolo sinistro si dilata e la funzione contrattile si riduce. La riparazione della valvola interrompe il ciclo vizioso che conduce poi a peggioramento dello scompenso cardiaco.
Altro tema trattato, la sostituzione della valvola mitrale per via percutanea che è stata eseguita per la prima volta nell’uomo il 18 giugno 2015 all’Università di Tor Vergata dal Prof. Romeo e Prof. Ussia con la partecipazione di un’equipe della stessa Università con la partecipazione del cardioanestesista Prof. De Vico. “A due anni e mezzo dal “first in human” - ha raccontato Francesco Romeo, Past President Sic - sono state impiantate quattro valvole ma è una strada aperta per un prossimo futuro”.
Nella giornata di oggi si è celebrato anche il 40° anniversario dell’angioplastica: una tecnica consolidata che fa stabilmente parte del bagaglio terapeutico che la cardiologia internazionale ha a disposizione per il trattamento delle coronaropatie. “L’introduzione della angioplastica coronarica nel 1977 ad opera di Andreas Gruntzig è stata una rivoluzione culturale ed una pietra miliare nel trattamento della patologia coronarica aterosclerotica che è il substrato anatomopatologico che sottende tutte le manifestazioni cliniche della malattia coronarica (angina, infarto, morte improvvisa coronarica)”, ha spiegato Romeo.
“In questi 40 anni questa tecnica si è evoluta dalla semplice angioplastica con palloncino, all’introduzione degli stent con ulteriori successive generazioni che oggi ci permettono di affrontare qualsiasi problema tecnico. Il numero delle angioplastiche in Italia è arrivato ad oltre 150 mila su un totale di circa 300.000 coronarografie. Il numero delle angioplastiche primarie, cioè per il trattamento dell’infarto acuto ha superato i 35.000. L’angioplastica coronarica con impianto di stent (Ptca+stent) è una procedura terapeutica che, come dicono gli autori anglosassoni, “is here to stay”. Ormai gli interventi di by pass aorto-coronarico sono limitati a situazioni anatomiche particolari, quali la patologia critica del tronco comune, ostruzioni croniche non trattabili con Ptca, interventi combinati di sostituzione valvolare più bypass”.