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Medicina: malattie coronariche killer per 1 su 5, infiammazione nuovo target

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27 novembre 2017 | 15.55
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Spezzare il 'fil rouge' che collega l'infiammazione alle malattie di cuore: è la nuova via indicata dalla ricerca per cercare di colpire il big killer numero uno "in Europa come negli Stati Uniti, dove un uomo o una donna su 2 ancora oggi muore per patologie cardiovascolari, e un uomo o una donna su 5 muore per malattie coronariche. La prima causa di decesso e di ospedalizzazione resta di gran lunga questa". Ma per contrastarla sul fronte della prevenzione secondaria, rivolta ai pazienti già sopravvissuti a un evento, "servono nuovi approcci perché con quelli seguiti finora abbiamo già 'grattato il fondo'". Lo spiega Filippo Crea, ordinario di Cardiologia all'università Cattolica di Roma e direttore del Polo di Scienze cardiovascolari e toraciche della Fondazione Policlinico universitario Gemelli della Capitale.

Parlando all'AdnKronos Salute in occasione del convegno ' Armonizzare la ricerca e la pratica clinica per migliorare la prevenzione delle malattie cardiovascolari' (Milano, 24-25 novembre), lo specialista ha ripercorso la storia del legame fra malattie cardiovascolari e infiammazione. Un cammino che parte da lontano e che 23 anni fa lo ha visto protagonista della scena mondiale insieme al suo gruppo. "Per primi, nel 1994 - ricorda - abbiamo dimostrato che almeno in alcuni pazienti le sindromi coronariche acute sono associate a un improvviso aumento della proteina C-reattiva", 'spia' di infiammazione fra le più note, e che "quando questo si verifica la prognosi è peggiore".

Se è vero cioè che "l'infiammazione - precisa Crea - è collegata allo sviluppo dell'aterosclerosi fin dalle sue prime fasi", perché sono gli stessi fattori di rischio cardiovascolari a richiamare in loco "le cellule infiammatorie coinvolte nella placca aterosclerotica fin dall'esordio", l'infiammazione può anche fare la differenza tra la vita e la morte. In particolare fra una placca aterosclerotica che resterà per sempre stabile, dunque silente, e una che invece diventerà instabile fino a scatenare la formazione di un trombo e provocare ad esempio un infarto. Nella metà circa di chi ne ha uno la proteina C-reattiva aumenta, e scoprirlo ha reso l'infiammazione un bersaglio ancora più interessante per la medicina cardiovascolare. A consacrarlo come target per nuovi farmaci da usare in prevenzione secondaria è stato lo studio 'Cantos' sull'anticorpo monoclonale antinfiammatorio canakinumab: "Un lavoro importante concettualmente, veramente fondamentale - dice l'esperto - che pone nuovi interrogativi, 3 in particolare".

Il trial, di fase clinica III, presentato all'ultimo Congresso annuale della Società europea di cardiologia (Esc), è stato condotto per 6 anni su oltre 10 mila pazienti con aterosclerosi reduci da infarto miocardico acuto e con un livello di proteina C-reattiva ad alta sensibilità. In combinazione con terapia standard, iniezioni trimestrali di canakinumab hanno ottenuto rispetto al placebo una riduzione significativa del 15% degli eventi cardiovascolari maggiori che comprendono infarto non fatale, ictus non fatale e morte cardiovascolare. Il farmaco, un inibitore selettivo e a effetto prolungato dell'interleuchina-1beta, ha inoltre diminuito la mortalità per tumore polmonare.

"Lo studio Cantos chiude il cerchio", commenta Crea, confermando la 'teoria infiammatoria' delle sindromi coronariche acute "almeno nei pazienti con valori elevati di proteina C-reattiva. Se finora ci eravamo concentrati solo sul controllo dei fattori di rischio e dei meccanismi che portano alla formazione del trombo, Cantos ci dice che anche dei farmaci antinfiammatori possono migliorare la prognosi di questi pazienti. Si apre perciò una nuova finestra" e insieme si prospettano 3 sfide. La prima domanda alla quale rispondere, osserva il cardiologo, è "come identificare al meglio i pazienti che hanno bisogno di una terapia antinfiammatoria: la proteina C-reattiva è un marker di infiammazione molto aspecifico", quindi "saranno necessarie 'spie' più precise per capire quali pazienti rispondono".

"Il secondo punto - continua Crea - è identificare farmaci antinfiammatori più efficaci del canakinumab", perché "la riduzione degli eventi è stata modesta e inoltre si è pagato un prezzo in quanto la mortalità per infezioni nei pazienti randomizzati al farmaco è stata più alta. Cantos è fondamentale - ribadisce lo specialista - perché segna questa nuova strada" e indica che "certamente è giusta. Però dobbiamo identificare antinfiammatori con un rapporto costo-beneficio più favorevole. La terza sfida - conclude l'esperto - è cosa fare di quel 50-70% di pazienti in cui la causa dell'infarto non è un'attivazione dell'infiammazione. In più della metà dei casi, infatti, si ha infarto senza avere aumento della proteina C-reattiva. Significa che a questi pazienti succede qualcosa di diverso, che stiamo ovviamente indagando e che porterà all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici nei prossimi anni".

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