Sono solo 9.078 i richiedenti asilo 'ricollocati' in totale dall'Italia verso altri Paesi europei nell'ambito del meccanismo di relocation obbligatorio che è arrivato a scadenza ieri, secondo dati della Commissione europea. I ricollocamenti dalla Grecia sono invece 20.066. L'Unhcr riporta le medesime cifre con dato aggiornato al 22 settembre. Il programma era stato approvato dal Consiglio del'Unione europea e attivato a partire dal 25 settembre 2015, prevedendo la ricollocazione da Italia e Grecia, su un periodo di due anni, di 120mila persone in bisogno di protezione internazionale. I ricollocamenti totali sono stati finora 29.144, il 24% di quelli previsti. Sulla base di questo meccanismo, la Commissione Ue stima che le persone che potrebbero essere effettivamente ricollocate sono circa 37mila.
I richiedenti ricollocati dal nostro Paese fino al 18 settembre, secondo i dati più aggiornati del ministero dell'Interno, 8.598. Di questi, 7.796 sono adulti, 770 minori, e 32 minori non accompagnati. Ad accoglierli sono stati finora 19 Paesi (Austria, Belgio, Croazia, Cipro, Finlandia, Francia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera). Lo Stato verso cui si sono effettuati più trasferimenti è la Germania, che ha accolto 3.405 richiedenti, seguito da Svizzera (829), Norvegia (816), Paesi Bassi (763), Finlandia (755) e Svezia (513). Il Paese che ne ha accolti di meno è l'Austria, con 15 trasferimenti, seguito da Croazia (18) e Lettonia e Lituania, con 27 trasferimenti ciascuno.
Al 18 settembre si sono contate 1.126 richieste in attesa di approvazione da parte di 17 Paesi e 1.234 richieste approvate ma in attesa che venga effettuato il trasferimento, verso 11 Paesi. Le altre richieste istruite ammontano a 1.284, mentre il Viminale calcola altri 3.500 potenziali beneficiari ulteriori del piano. Secondo la Commissione Ue nel 2017 in Italia sono giunti 7.200 richiedenti potenzialmente ricollocabili, ma solo 4mila sono stati registrati. Alle condizioni attuali, solo i richiedenti asilo appartenenti a quelle nazionalità che hanno un tasso di riconoscimento del 75% o maggiore sono presi in considerazione per il processo di ricollocamento (Eritrea, Siria, Yemen, Bahamas, Bahrein, Bhutan, Qatar, Emirati Arabi Uniti).
Ieri era l’ultimo giorno per rientrare nel programma: i richiedenti asilo che da oggi arriveranno in Italia non potranno più usufruirne. Proseguiranno però i trasferimenti per i rifugiati che hanno raggiunto il nostro Paese fino a ieri, così come la lavorazione delle richieste di trasferimento che risultano in attesa. In una risoluzione dello scorso 18 maggio "su come far funzionare la procedura di ricollocazione", infatti, il Parlamento europeo aveva sottolineato che "gli obblighi giuridici degli Stati membri non vengono meno dopo il 26 settembre 2017 e che gli Stati membri sono tenuti, anche dopo tale data, a trasferire tutti i richiedenti ammissibili giunti fino a quel momento".
Il meccanismo di relocation era stato adottato nel 2015 in base all'articolo 78 del Trattato sul Funzionamento dell'Ue, secondo il quale "qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo".
L'Ungheria (che non ha mai preso parte al piano) e la Slovacchia avevano presentato ricorsi contro il meccanismo di relocation, respinti il 6 settembre dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea. La Slovacchia ha 7 richieste di trasferimento dal nostro Paese a cui ancora non ha dato la sua approvazione. Oltre all'Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia sono invece oggetto di procedure di infrazione per non aver rispettato il piano.
Il basso numero di ricollocamenti effettivamente realizzati rispetto a quelli previsti dal piano era stato evidenziato anche dalla Corte nella sentenza con cui ha respinto i ricorsi. In quell'occasione i giudici di Lussemburgo hanno sottolineato che al momento dell’adozione della decisione, nel 2015, il Consiglio aveva proceduto - sulla base di un esame dettagliato dei dati statistici disponibili all'epoca - ad un'analisi obiettiva degli effetti della misura. Secondo la Corte Ue, quindi, il numero limitato di ricollocazioni si spiega con un insieme di elementi che il Consiglio "non poteva prevedere" al momento dell'adozione del piano, tra cui, in particolare, proprio la mancanza di cooperazione di alcuni Stati membri.