
Per i giudici della Corte di Cassazione non può esserci condanna per il reato di terrorismo internazionale se l’attività di indottrinamento e proselitismo è “finalizzata ad indurre una generica disponibilità ad unirsi ai combattenti per la causa islamica e ad immolarsi per la stessa” e se la formazione teorica degli aspiranti kamikaze non è affiancata anche “dall’addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento”. E’ quanto sostengono i giudici della Suprema Corte nelle motivazioni depositate oggi e relative alla sentenza di assoluzione, emessa lo scorso 14 luglio, dei cinque presunti jihadisti della piccola moschea di Andria. L'accusa era di terrorismo internazionale di matrice islamica.
La Dda di Bari ordinò il loro arresto, eseguito dai carabinieri del Ros, nell'aprile 2013. La base del gruppo, secondo gli investigatori, era nella piccola moschea di Andria. La Cassazione lo ritiene un gruppo a limitata "operatività", tale da non costituire una minaccia per la collettività. Uno dei cinque imputati, l'imam tunisino Hosni Hachem Ben Hassen, presunto capo della cellula, nella stessa sentenza venne condannato per istigazione all'odio razziale. I fatti al centro del processo riguardavano gli anni dal 2008 al 2010.