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Che puzza! Quando gli odori 'molesti' diventano reato

(foto Adnkronos)
(foto Adnkronos)
31 ottobre 2015 | 10.11
LETTURA: 3 minuti

La molestia olfattiva è reato? Ebbene sì, si chiama 'getto pericoloso di cose', vedasi l'articolo 674 del codice penale. Ad averlo recentemente affermato è la sentenza numero 12019/2015 - riportata dallo Studio Cataldi - emanata dalla Corte di Cassazione il 23 marzo scorso, con la quale i giudici hanno confermato la condanna dell'amministratore delegato di una torrefazione, colpevole di aver diffuso odori nauseabondi tali da molestare gravemente i residenti della zona in cui essa si trova.

Non importa che le emissioni provenissero da un impianto munito di autorizzazione: in assenza di disposizioni specifiche in materia di odori, il criterio di riferimento per la configurazione della fattispecie criminosa è quello della stretta tollerabilità. Il naso delle vittime, insomma, è il metro di misura.

A inchiodare l'imprenditore, così, è bastata la testimonianza degli abitanti della zona, dalla quale era emerso che la puzza di caffè bruciato, soprattutto all'ora di pranzo, era tanto nauseabonda da arrivare, talvolta, a provocare rigetto. Ancora più chiara, in tal senso, è la sentenza numero 42387/2011, con la quale la Cassazione, rifacendosi alla sua precedente pronuncia numero 19206/2009, ha precisato che nel caso di emissioni idonee a creare molestie alle persone che siano rappresentate da odori, il giudizio sulla loro esistenza e sulla loro non tollerabilità può basarsi anche solo sulle deposizioni testimoniali.

Ciò soprattutto se i testi siano a diretta conoscenza dei fatti e rendano dichiarazioni che non si risolvano in valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma abbiano ad oggetto circostanze oggettivamente percepite. Il rischio di incorrere nelle sanzioni previste per il getto pericoloso di cose, però, non riguarda solo locali e impianti industriali: ogni privato cittadino lo corre, se non rispetta le regole imposte a tutela della sicurezza e della tranquillità dei consociati, diffondendo odori molesti.

Ad esempio, con la sentenza numero 45230 del 3 novembre 2014 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna del padrone di un cane che, sistematicamente, non raccoglieva gli escrementi del suo amico a quattro zampe, costringendo così i vicini di casa a sopportare odori sgradevoli e molesti. Certo è che il comportamento deve essere, in ogni caso, tale da rendere la condizione dell'ambiente davvero intollerabile.

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