Avere rapporti sessuali dietro le sbarre: non una censura, ma un diritto del detenuto. Il caso merita tutta l'attenzione, specie oggi che il sovraffollamento non è più un dramma. Meno persone in cella significa anche più "spazio vitale", la possibilità di reinventare il carcere in senso moderno con luoghi ad hoc disposti per gli incontri intimi dei detenuti con i partner. Ne è convinto Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, che si batte per un diverso modello di pena che non violi la dignità delle persone: i diritti umani fondamentali "vanno assicurati".
"Bisogna cambiare il modello di pena, evitare che il carcere sia una fabbrica di recidiva: è necessario contrastare ogni resistenza", dice Gonnella all'Adnkronos. Oggi potremmo essere sulla strada giusta.
"Il fatto che ci sia più spazio vitale nelle carceri con il sovraffollamento in diminuzione, consente all'Amministrazione penitenziaria di poter programmare un diverso modello di pena, un tentativo che con gli Stati Generali sull'esecuzione della pena il ministero della Giustizia sta cercando di portare avanti", aggiunge.
"La sessualità è un diritto", ha a che fare con la salute psicofisica della persona, "è assurdo che sia ancora legata al concetto di premio-punizione", osserva Gonnella ricordando che la riabilitazione del detenuto comprende anche la sfera dell'affettività.
"Siamo uno dei pochi paesi europei che non regolamenta tale diritto - denuncia raccontando il caso di un ergastolano che ha potuto rivedere la moglie solo dopo vent'anni -. Fino ad oggi abbiamo considerato la sessualità come un premio, ovvero al detenuto che si comporta bene viene concesso (dopo anni) il permesso-premio che gli permette di vivere, all'esterno, anche la sua affettività. Una vessazione ingiustificabile".
La novità oggi è legislativa "perché la commissione Giustizia della Camera ha approvato una norma in questo senso ma bisogna velocizzare il processo: in attesa dell'approvazione, l'Amministrazione penitenziaria si organizzi per adeguare le strutture altrimenti si rischiano tempi troppo lunghi", chiede Gonnella.
Concretamente si tratterebbe di creare "unità negli istituti di pena che garantiscano la dovuta privacy per vivere rapporti di intimità familiare, senza quindi la sorveglianza della polizia penitenziaria". Chi finisce dentro è privato della libertà di movimento, ricorda infine Gonnella, non certo dei suoi diritti fondamentali, che "vanno assicurati".