Nel nuovo processo di appello lievi riduzioni per i sei imputati. I parenti delle vittime piangono in aula: "Quando andranno in galera?"
Era la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 quando un inferno di fuoco si scatenò sulla linea cinque dello stabilimento Thyssen krupp di Torino travolgendo otto operai. Si salvò solo Antonio Boccuzzi. Non ce la fecero invece Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone.
La sentenza di primo grado era arrivata nella tarda serata del 15 aprile 2011. Il dibattimento si era aperto il 15 gennaio del 2009, poco più di un anno dopo la tragedia. Un procedimento di quasi cento udienze che resterà nella storia del Paese per essere stato il primo processo per morti sul lavoro con richieste di pene così alte, in relazione all'eccezionalità dei reati contestati ai sei imputati chiamati a rispondere del rogo.
La corte presieduta da Maria Iannibelli, aveva condannato l'amministratore delegato Harald Esphenhahn a 16 anni e mezzo di carcere per omicidio volontario con dolo eventuale. Una sentenza storica per i morti sul lavoro. I dirigenti Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri erano stati condannati a 13 anni e mezzo di carcere mentre Daniele Moroni a 10 anni e 10 mesi di reclusione. Le parti civili avevano avuto risarcimenti per un totale di circa 17 milioni di euro, di cui quasi 13 milioni ai famigliari delle vittime.
Ma il processo di secondo grado aveva ribaltato le cose. L'appello si era aperto il 28 novembre 2012 e la sentenza era arrivata come una doccia fredda il 28 febbraio 2013: la corte d'assise d'appello di Torino aveva ridotto le pene ai sei imputati ed escluso il 'dolo' riconosciuto in primo grado per l'amministratore delegato. Riformata la tesi dell'accusa del dolo eventuale, l'amministratore delegato Harald Espenhahn era stato condannato a 10 anni di carcere.
Condanne che erano state ridotte anche per gli altri ex dirigenti imputati: 7 anni ai dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 8 anni e mezzo per il direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno e 8 anni per Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza. Infine a Daniele Moroni la corte d'assise d'appello presieduta dal giudice Giangiacomo Sandrelli aveva inflitto una condanna a 9 anni. Una decisione che non era piaciuta ai parenti e agli ex operai presenti: ''Vergogna, maledetti, questa non è giustizia'' avevano urlato le madri dei sette operai morti che avevano poi occupato per quattro ore la maxi aula del Palagiustizia chiedendo di interloquire con qualcuno del governo.
A mediare erano arrivati il procuratore generale, Marcello Maddalena e il pm Raffaele Guariniello che aveva assicurato "mi impegno a rimanere con voi per riuscire a combattere questa battaglia fino in fondo" spiegando che avrebbe seguito il ricorso per Cassazione ''sul dolo eventuale sono convinto che abbiamo ragione" aveva ribadito sottolineando comunque la storicità di una sentenza perché in materia di lavoro "stiamo cambiando la mentalità, le abitudini e la giurisprudenza". Una tesi bocciata però dalla Cassazione. Il 24 aprile 2014 la Suprema Corte avevano rinviato alla Corte d'Assise d'Appello di Torino per rimodulare le condanne dei sei dirigenti della multinazionale tedesca dell'acciaio.
Oggi la sentenza del nuovo processo di appello per il rogo. La Corte d'Assise d'Appello ha condannato a nove anni e otto mesi di carcere Herald Espenhahn, ex amministratore delegato della Thyssen Krupp, riducendo la pena di 10 anni inflitta nel precedente processo di II grado.
Condannati invece a 6 anni e 10 mesi gli ex dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci (erano stati 7) e 7 anni e 2 mesi (invece di 8 e mezzo) per l'allora direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno. E ancora pena di 7 anni e 6 mesi per Daniele Moroni (nel primo appello condannato a 9 anni) e 6 anni e 8 mesi (invece di 8), per l'allora responsabile della sicurezza, Cosimo Cafueri.
Dopo la lettura della nuova sentenza rabbia e frustrazione per i parenti delle sette vittime: "Vogliamo sapere quando questa gente andrà in galera", "Ce la facciamo andare per ora, ma il rischio è che piano piano le pene non ci saranno più'".