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Vino: Nero di troia e Bernarda, arriva la lista delle etichette osè

A scoprirla è stato lo studioso di psicolinguistica e maggior esperto italiano di turpiloquio Vito Tartamella che all'Adnkronos racconta: "L'idea mi è venuta in occasione di Expo". E sul suo blog ha tracciato la geografia delle bottiglie 'hard'

(Foto dal blog di Vito Tartamella)
(Foto dal blog di Vito Tartamella)
20 maggio 2015 | 16.11
LETTURA: 4 minuti

Il cibo sano e sostenibile è il leitmotiv di questi mesi, ma c'è chi ha scoperto che in tavola si possono portare anche cibi e vini 'osé'. E' Vito Tartamella, studioso di psicolinguistica, autore del libro "Parolacce" (Bur, 2006) e maggior esperto italiano di turpiloquio, che, in occasione dell'esposizione universale di Milano, ha realizzato un'inedita ricerca scoprendo etichette come "Nero di troia", "Rosso Bastardo" o la birra danese "Stronzo" oppure il vino Bernarda".

"L'idea di parlare di cibi e vini osè mi è venuta in occasione di Expo. Mi sono chiesto se potevo unire il tema alimentazione con quello delle parolacce. E ho iniziato le mie ricerche" spiega all'Adnkronos Vito Tartamella che, sul suo blog www.parolacce.org., ha pubblicato una lista di etichette davvero inedita. La ricerca "sui cibi osè come i cazzetti d'angelo, una pasta di forma fallica laziale, il salame le palle del nonno di Norcia, i coglioni di mulo un salame abruzzese di Campotosto ed i grattaculi, una verdura tipica del Lazio, o le tette di vergine un dolce siciliano, è stata un po' difficile, perché sono cibi sparsi nelle varie tradizioni regionali".

Sui vini, invece, continua Tartamella, "è stato un po' più facile". Anzi, aggiunge, "è stato un vero crescendo: man mano che ne trovavo qualcuno, ne saltavano fuori sempre di nuovi, e alcuni navigatori hanno ulteriormente arricchito l'elenco". "Probabilmente -sottolinea lo studioso di psicolinguistica- i vini ispirano di più". E nel suo post spiega perchè: "Il mondo dei vini, e degli alcolici in generale, -dice Tartamella- riserva notevoli sorprese agli appassionati di parolacce e di goliardia: l’alcol libera i freni inibitori, e un nome osceno apre le porte dell’erotismo ed è beneaugurante". "D’altronde, -osserva- da un vino ci si aspetta che sia inebriante, e quindi lo aiuta avere un nome evocativo. E infine, dato che il vino rende più sinceri (in vino veritas), si abbina bene alle parolacce, che sono un linguaggio spontaneo e diretto".

"Ma anche il marketing -chiarisce Taratamella- ci mette lo zampino: con 44 milioni di ettolitri di vino prodotti nel 2014, l’Italia è il secondo produttore al mondo, ed è sempre più diffusa l’esigenza di avere un’etichetta che attiri l’attenzione e sia facilmente memorizzabile. Ecco perché i nomi 'piccanti' dati alle bevande non sono frutto del caso o di incidenti, com’è stato invece per la birra 'Stronzo'. La bevanda, prodotta in Danimarca in diverse varietà, -racconta- a quanto pare è nata perché i proprietari avevano sentito la parola italiana, ne amavano il suono ma non ne sapevano il significato". Ma tornando in Italia, Tartamella si addentra "nella cantina più osé del mondo, dove il primato incontrastato va ai toscani. Sia perché sono fra i maggiori produttori di vino, e sia per lo spirito sanguigno che li contraddistingue". E' il caso del vino Scopaio, un Cabernet Sauvignon, Syrah, il cui nome "evoca lo scopare, ma in realtà -conclude Tartamella- nasce anch’esso come riferimento geografico: la località Lo Scopaio a Castagneto Carducci, in provincia di Livorno. Il vino è prodotto da varie aziende, fra cui Roggio Molina e da La Cipriana".

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