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Pakistan: Lo Porto, tre anni nelle mani dei rapitori/Scheda

Nato a Palermo 39 anni fa, era stato rapito il 19 gennaio 2012 insieme a un collega tedesco, Bernd Muehlenbeck. I due cooperanti lavoravano a Multan con la ong tedesca Welt Hunger Hilfe per un progetto a favore della popolazione

 - (Afp)
- (Afp)
23 aprile 2015 | 17.21
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Su Giovanni Lo Porto, l'ostaggio italiano rimasto ucciso in un'operazione militare Usa dello scorso gennaio sul confine tra Afghanistan e Pakistan, non si avevano più notizie da tre anni.

Nato a Palermo 39 anni fa, Lo Porto era stato rapito in Pakistan il 19 gennaio 2012 insieme a un collega tedesco, Bernd Muehlenbeck. I due cooperanti lavoravano a Multan con la ong tedesca Welt Hunger Hilfe per un progetto a favore della popolazione in grave difficoltà dopo le devastanti alluvioni che avevano flagellato la zona di Kot Addu, nella provincia del Punjab.

Pochi giorni dopo essere arrivati a Multan, Lo Porto e Muehlenbeck sono stati sequestrati da un gruppo armato che aveva fatto irruzione nell'edificio dove lavoravano i cooperanti. Da allora di Giovanni si è saputo poco o nulla. Il sequestro è stato sempre attribuito a gruppi gravitanti nell'orbita di al Qaeda. I Talebani del Pakistan (Tehrek-e-Taliban Pakistan-TTP) hanno più volte negato di tenere in ostaggio i due europei.

L'ultima notizia, indiretta, su Lo Porto risale a dicembre 2012, quando venne diffuso un video nel quale era visibile solo Muehlenbeck: "Siamo in difficoltà. Per favore accogliete le richieste dei mujahidin. Possono ucciderci in qualsiasi momento. Non sappiamo quando. Può essere oggi, domani o tra tre giorni" diceva l'ostaggio tedesco. Ma il fatto che il collega di Lo Porto parlasse al plurale fece ipotizzare che anche il nostro connazionale fosse ancora in vita.

Muehlenbeck fu liberato in Afghanistan a ottobre del 2014, in seguito a un’operazione delle forze speciali tedesche. I sequestratori lo lasciarono davanti a una moschea alla periferia di Kabul.

I familiari di Lo Porto hanno sempre preferito mantenere il silenzio stampa sulla vicenda. Per questo motivo le uniche iniziative per chiedere la sua liberazione sono rimaste limitate al web, dove in passato era stato lanciato l'hashtag #vogliamoGiovannilibero. A novembre del 2013 era stata aperta anche una petizione su Change.org, indirizzata al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio chiedendo che Giovanni potesse tornare a casa.

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