"Non siamo noi il nemico". E' la scritta che campeggia su un grande striscione portato dai rappresentanti di uno dei centri culturali islamici del quartiere Torpignattara, uno dei più multietnici di Roma. Mohammed, del Bangladesh, parla a nome dei suoi compagni. "Siamo venuti a manifestare qui in piazza Santi Apostoli per fare chiarezza - dice ad Aki-Adnkronos International - Dopo gli attentati di Parigi, tutti ci guardano come se i colpevoli fossimo noi, ma noi non siamo nemici di nessuno. Il nostro è un messaggio pace".
La pioggia ha scoraggiato molti, ma nella piazza nel centro di Roma circa 500 persone, italiani e non, musulmani e non, hanno risposto all'appello a partecipare alla manifestazione organizzata da diverse comunità islamiche, sotto lo slogan "Not in my name". "Non è nel nome dell'Islam che questi pazzi commettono queste atrocità", dice Lemia, irachena che vive da 22 anni in Italia.
"La guerra e la violenza sono contro tutti - dice, tenendo in mano un cartello colorato con gli evidenziatori, con la scritta #notinmyname - Io lo so bene. Sono musulmana, ma ugualmente sono dovuta scappare dall'Iraq. Perché i terroristi colpiscono tutti, soprattutto i musulmani. Chiedetelo ai soldati del mio paese, che ogni giorno vengono uccisi a decine dai terroristi. In Italia questo messaggio non è chiaro a tutti. Lo voglio dire chiaramente, perché nessuno me lo chieda più: sono contro l'Isis, perché un vero musulmano non ammazza nessuno".
La piazza, chiusa con le transenne, è tenuta sotto controllo da decine di poliziotti. Arianna e Marina sono due signore del quartiere San Giovanni. "Era importante esserci - dice Arianna - volevamo portare un messaggio di solidarietà alle vittime degli attacchi di Parigi". Si sono messe in un angolo della piazza, un po' in disparte. "Non è che abbiamo paura di un attentato - dice Marina - Ma insomma, dove c'è folla c'è rischio".
Mohammed vuole argomentare per bene il suo messaggio. Comincia spiegando che a Torpignattara ci sono quattro moschee. Il suo compagno lo corregge: "Non chiamarle moschee, sono centri culturali". Cosa cambia? "Niente - dice l'uomo, più anziano di Mohammed e suo connazionale - ma quando dici 'moschea' certi italiani si spaventano". "Dicono che i terroristi stanno nei nostri centri culturali, ma si sbagliano - chiarisce Mohammed - Noi abbiamo il diritto di pregare e se c'è qualcuno che ci sembra estremista lo teniamo alla larga, perché non vogliamo problemi con gli italiani. Non è da noi che si addestrano i terroristi".
Yahya Pallavicini, vicepresidente nazionale della Coreis, la pensa come lui. E' stato tra i primi ad arrivare in piazza Santi Apostoli. I giornalisti gli fanno mille domande sulle responsabilità dei musulmani. Uno di loro si sbaglia, gli chiede "il nome di battesimo". "Mai stato battezzato - precisa lui - sono nato musulmano". "In Italia - spiega - a differenza di altri Paesi, l'estremismo non passa per le moschee, nonostante l'organizzazione delle moschee nel Paese vada migliorata. Il rischio è più che altro nell''Islam fai da te' appreso su Internet. In questo senso il modello italiano potrebbe essere di ispirazione e la risposta ad estremismo e terrorismo potrebbe arrivare proprio dall'Italia".
Sul palco allestito dagli organizzatori salgono i rappresentanti delle comunità musulmane, da Pallavicini ad Abdellah Redouane, segretario generale della Grande Moschea di Roma, all'imam di Firenze, Izzedin Elzir, presidente dell'Ucoii. Accanto a loro i rappresentanti delle istituzioni italiane, da Pier Ferdinando Casini a Fabrizio Cicchitto, da Khalid Chaouki alla leader della Cgil Susanna Camusso. Vengono letti i messaggi del presidente della Repubblica, di quello del Senato e di quello della Camera.
Ogni volta che sul palco viene pronunciata la parola "pace", parte l'applauso della folla, mentre sparsi per la piazza alcuni partecipanti improvvisano il loro comizio a beneficio delle numerose telecamere. "L'Isis è fuori dall'Islam - dice con foga Saye, del Burkina Faso, che vive in Italia da 11 anni e fa l'operario - Ma io sono qui anche per capire un'altra cosa. Chi le costruisce le armi dell'Isis? Chi gliele vende o gliele regala? Gli europei se la fanno questa domanda o sanno solo sganciare le bombe?".
Nadia, appena 19enne, forma un gruppetto più composto e silenzioso con altre donne marocchine arrivate a Roma da Frosinone. Sotto gli ombrelli, reggono uno striscione con la scritta "Solidarietà al popolo francese, no al terrorismo in nome di Dio". "Abbiamo dovuto viaggiare un po' per essere qui - dice Nadia, un po' emozionata, in un italiano che non tradisce accenti nonostante sia nel nostro paese da poco - Volevamo esserci per dire no al terrorismo. Ma anche per dire agli italiani: 'Non abbiate paura di noi'".